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Azioni: cosa ci aspetta dopo un 2018 sull'ottovolante

12/20/2018

È presto per abbandonare l'azionario che riveste oggi una funzione strategica fondamentale, molto più determinante rispetto al passato


Cosa ci attende dopo il 2018? Verso la fine del 2017, diversi esperti dei mercati finanziari avevano previsto che il 2018 sarebbe stato "l’anno dell’Europa" e che le Borse europee presentavano un enorme potenziale di crescita. Oggi sappiamo che non è andata proprio così, basti pensare alla Brexit, all’Italia, alle azioni tedesche percepite come warrant sulla Cina. E a fine 2017 c’erano anche parecchi osservatori che si aspettavano una crisi negli USA, mentre si è avverato l’esatto contrario. Dunque dove puntare il prossimo anno: negli USA, in Cina o in Europa?

Secondo Philipp Vorndrann (nella foto), capital market strategist di Flossbach Von Storch, per gli investitori nel 2019 si tratta di capire dove potranno acquistare asset di qualità a prezzi ragionevoli in futuro. E invita ad adottare un'ottica di lungo termine. "Quest’anno - spiega - le fasi a dente di sega ci hanno creato parecchi grattacapi: un consolidamento dei mercati dopo un lungo periodo di rialzi, il ritorno della volatilità, la normalizzazione delle fluttuazioni sui mercati. Tutti fenomeni tipici di un mercato che alla fine deve pur metabolizzare un forte rialzo. Ed è proprio ciò che è accaduto nel 2018, rendendo nervosi molti investitori".

Vorndrann ricorda che l’indice FvS Investor Sentiment di Flossbach von Storch registra un clima di crescente nervosismo: la quota azionaria media, che a ottobre era pari al 58,5%, si è ridotta progressivamente fino a fine novembre attestandosi al 53,8%, il livello più basso dal mese di febbraio 2017. Dando uno sguardo agli USA, si direbbe che anche qui le file degli "orsi" si stiano infoltendo poiché la quota azionaria diminuisce. Due segnali di un crack alle porte? "In realtà suggeriamo di considerare con molta cautela questa interpretazione. L’indagine sul sentiment degli investitori condotta dall’American Association of Individual Investors tra gli investitori statunitensi racconta uno scenario un po’ diverso da quello di una quota azionaria in declino: oggi la quota azionaria media degli investitori USA si attesta intorno al 70% e supera la media di lungo periodo, pari a circa il 61%, da ben 67 mesi consecutivi. Riteniamo dunque che gli investitori statunitensi stiano diventando più scettici, ma le loro quote azionarie rimangono elevate" spiega l'esperto.

Perché? "Per rispondere a questa domanda dobbiamo tornare col pensiero ai mercati finanziari di una decina d’anni fa: all’epoca, per reagire ai movimenti di mercato, i gestori di portafoglio potevano spostare rapidamente gli investimenti dalle azioni alle obbligazioni alla liquidità e ottenere rendimenti globali soddisfacenti. Ma oggi non è più così: i tassi bassi impediscono di ottenere con facilità, con un portafoglio di titoli di Stato convenzionale, un reddito soddisfacente che possa sostituire i rendimenti azionari. Oggi gli investimenti azionari in portafoglio rivestono una funzione strategica fondamentale, molto più determinante rispetto ad allora proprio perché ormai mancano alternative adeguate sul mercato obbligazionario" conclude l'esperto.

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