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Buoni e libretti postali preferiti ai fondi comuni

1/30/2021

1 italiano su 2 ha in portafoglio uno degli strumenti di risparmio postali che, nel 2020, hanno raggiunto quota 330 miliardi di euro. Ma la scelta è guidata da costi e fiscalità e non dagli obiettivi di investimento.


Il 2020, secondo i dati di Assogestioni, si è chiuso con un patrimonio complessivo netto pari a 2.392 miliardi di euro. Un risultato importante che, da molti, viene letto come una conferma della forte attitudine al risparmio degli italiani. 

 

Ma nel concreto queste masse come sono state investite? Sempre a leggere i dati Assogestioni, dei 1.116 miliardi investiti in fondi comuni, spiccano i 430 miliardi confluiti in fondi obbligazionari, i 276 miliardi in fondi azionari, i 235 miliardi in strumenti flessibili e i 134 miliardi in prodotti bilanciati. 

 

In verità, se allarghiamo lo sguardo e andiamo oltre il naturale perimetro della mappa Assogestioni, a dominare veramente la scena insieme ai prodotti obbligazionari ci sono altri due strumenti decisamente più prudenti: i buoni fruttiferi e i libretti postali. Dati alla mano il 2020 si è rivelato un anno record per questi prodotti che hanno superato quota 330 miliardi di euro,  che corrisponde a più della metà delle attività finanziarie totali dichiarate da Poste Italiane (556 mld). Secondo quanto dichiarato dalle stesse Poste Italiane si parla di oltre 50 milioni di buoni postali e di quasi 31 milioni di libretti diffusi in tutti Italia, praticamente 1 italiano su 2 ha uno di questi due strumenti in portafoglio. 

 

Con questi numeri non possiamo non parlare di un caso “di successo”. Eppure parliamo di strumenti che hanno rendimenti lordi “garantiti” che non arrivano all’1%. Cosa li rende così appetibili? L’assenza di costi, salvo gli oneri fiscali; la tassazione agevolata al 12,5%; l’esenzione dall’imposta di successione. E qualcuno sostiene anche la garanzia dello Stato. Ma rimane quel rendimento che sicuramente non sarà mai superiore. 

 

Evidentemente tutte le altre variabili sono tali da far preferire questi strumenti ad un fondo comune. Ma, se così fosse, le variabili costi e fiscalità continuano ad essere tali da mettere in secondo piano gli obiettivi che dovrebbero accompagnare ogni forma di investimento.

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