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Risparmio gestito, italiani sempre più soddisfatti

12/14/2021 | Redazione Advisor

Secondo la ricerca Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi sul risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2021, i fondi non sono più percepiti come prodotti speculativi, ma come prodotti caratterizzati dalla competenza e dalla diversificazione


Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi hanno presentato la ricerca sul risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2021, l’indagine che analizza il rapporto degli italiani con il risparmio e l’influenza che la pandemia sta avendo sulle scelte di investimento delle famiglie. Alla presentazione hanno partecipato Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo, Beppe Facchetti e Giuseppe Russo, presidente e direttore del Centro Einaudi.

Di seguito la sintesi della ricerca:

Dopo il difficile 2020, è arrivata la svolta. Secondo le interviste sull’andamento dell’anno 2020, raccolte a marzo e maggio 2021 e rivolte ai responsabili delle scelte finanziarie, il 9 per cento delle famiglie italiane ha subito conseguenze sulla salute propria o di un membro della famiglia: in una casa su dieci il Covid è entrato davvero. Molto più ampio è il numero di famiglie che ha visto ridursi o azzerarsi le entrate ordinarie a causa delle conseguenze economiche del Covid: nel complesso, si tratta del 36,8 per cento degli intervistati. Tra questi, il 19,6 per cento dichiara che le entrate sono «un poco» diminuite, il 15,7 per cento che sono «molto» diminuite e l’1,5 per cento dichiara che tutte le entrate sono state perdute. Queste percentuali mostrano che la perdita media di reddito netto familiare, pari a 105 euro mensili, non ha riguardato tutti: si è avuta una forte concentrazione dell’impatto economico, che si è scaricato su poco più di una famiglia su tre.

Lo sforzo straordinario della politica economica italiana ha consentito di mitigare gli effetti economici negativi del Covid sulle famiglie. A livello aggregato, risulta infatti che al –8,9 per cento del PIL ha corrisposto un calo decisamente inferiore del reddito disponibile. Le risposte ai due questionari permettono di individuare quanti hanno ricevuto aiuti a livello microeconomico. In media, i sussidi o altre forme di supporto economico hanno raggiunto il 28 per cento del campione, quindi nominalmente hanno servito il 74 per cento di coloro che hanno perduto entrate, con quote che salgono inevitabilmente in alcune categorie, come gli esercenti (che hanno ricevuto aiuti nel 53 per cento dei casi), gli operai (48 per cento) e i giovani (44 per cento). Gli aiuti sono stati giudicati sufficienti ma giunti in ritardo dai lavoratori dipendenti manuali, sono stati piuttosto tempestivi ma insufficienti secondo i lavoratori autonomi e gli esercenti, mentre hanno abbastanza soddisfatto la categoria degli impiegati.

Italiani risparmiatori, ma uno su due è impreparato

Di fronte a un’emergenza, le famiglie italiane erano preparate? Nonostante l’ampio serbatoio di risparmio privato, la risposta è che non tutte, in realtà, lo erano. Infatti, è risultato che il 53 per cento di esse non aveva accantonato un fondo di riserva, ossia non aveva depositi liquidi sufficienti o strumenti finanziari monetari liquidabili immediatamente per far fronte ad una emergenza economica come quella che abbiamo vissuto.

110 miliardi di liquidità in più, liquido il 42 per cento della ricchezza finanziaria

La pandemia, pur non avendo scosso in misura forte il tenore di vita (nonostante 400 mila famiglie abbiano perso tutte le entrate, circa l’1,5% del campione), è intervenuta anche sui comportamenti di risparmio, evidenziando due macro-cambiamenti: a)la diminuzione, dal 55,1 per cento al 48,6 per cento, ossia di ben 6,5 punti percentuali, della quota di risparmiatori nel campione, per effetto delle ridotte disponibilità. I non risparmiatori sono tornati prevalenti sui risparmiatori; b) la crescita tra i risparmiatori residui, pari a ben 6,7 punti percentuali, del numero di coloro che hanno intrapreso il risparmio in modo involontario, essenzialmente per non essere riusciti a consumare nell’anno della pandemia a causa delle restrizioni di attività e mobilità.

Investimenti con prudenza, ma nessuna fuga

Gli investimenti finanziari nell’anno del Covid-19 sono stati ridotti e messi in larga parte in standby proprio dall’incertezza pandemica, ma anche dalla difficoltà oggettiva di incontrare sul mercato investimenti corrispondenti agli obiettivi dei risparmiatori, che nel 2021 privilegiano nel lungo periodo, la sicurezza (ossia il desiderio di non perdere il capitale investito) e nel breve periodo la liquidità. Per questa ragione, anche se non sono più afflitte dalla crisi di fiducia che avevano avuto nel 2011-2012, le obbligazioni ricevono un consenso limitato. Sono possedute dal 22 per cento del campione, contro un massimo storico del 29 per cento; un obbligazionista su tre ha operato su questi titoli, nel 2021, facendo investimenti netti.

Sono 3,8 gli obbligazionisti soddisfatti per ogni insoddisfatto. Le azioni sono invece considerate per quello che sono realmente, ossia titoli per esperti, dunque appannaggio di una minoranza pari al 6,1 per cento del campione. Metà di essi ha effettuato acquisti netti nell’ultimo anno. Sono 5 gli investitori in azioni soddisfatti per ogni insoddisfatto. L’indice di soddisfazione maggiore di tutte le classi di investimento va al risparmio gestito (il rapporto tra soddisfatti e insoddisfatti è di 6 a 1). Fondi e risparmio gestito durante la crisi della pandemia hanno fatto registrare investimenti netti da parte dei sottoscrittori. Sui fondi, nel tempo, sono mutati i giudizi: non sono più percepiti come prodotti speculativi, adatti a chi ha buone risorse da investire; adesso per la maggioranza del campione sono prodotti caratterizzati dalla competenza, dalla diversificazione che controlla il rischio e, soprattutto, sono adatti anche ai piccoli risparmiatori. E nel biennio pandemico è stato così.

Investimenti alternativi e innovativi: avanti adagio

Gli investimenti nuovi e alternativi cominciano a entrare nella consapevolezza dei risparmiatori, ma lo fanno molto lentamente. I PIR, destinati a collegare il risparmio con gli investimenti reali, particolarmente delle piccole e medie imprese, sono stati considerati appena dal 2,5 per cento per campione, ma per ogni sottoscrittore effettivo ve ne sono 6 indecisi che potrebbero investirvi in futuro (14 tra gli impiegati, categoria che ha più liquidità della media). I bitcoin affascinano appena il 5 per cento degli intervistati(senza che abbiano necessariamente acquistato questi strumenti). Trovano i potenziali estimatori all’incrocio dei risparmiatori giovani, benestanti e istruiti. È presto per affermare che si tratti di un interesse che va oltre una moda, e del resto non sono gli investimenti più raccomandabili quanto a sicurezza (che resta la prima caratteristica desiderata dai risparmiatori anche delle categorie più dinamiche), stanti l’alta volatilità delle criptomonete e il fatto che esse non godono della tutela tradizionale della MIFID.

Il 6,7 per cento del campione – si sale al 14 per cento tra i laureati – risulta interessato agli investimenti etici e a impatto positivo sull’ambiente e sulla società: il settore finanziario sta raccogliendo questa istanza puntando sulla classificazione e selezione ESG degli investimenti. Tuttavia, essendo di tipo nuovo, il comportamento classico dei risparmiatori italiani è di introdurre nel portafoglio questi investimenti «a piccole dosi»

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