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Bankitalia, cresce la ricchezza degli italiani

7/25/2022 | Marcella Persola

La ricchezza netta media è aumentata dell’1,7% tra il 2016 e il 2020, principalmente grazie alla componente finanziaria, così riporta l'ultima indagine sui bilanci delle famiglie italiane.


La ricchezza netta media, valutata a prezzi costanti, è aumentata dell’1,7 per cento tra il 2016 e il 2020, principalmente grazie alla componente finanziaria, sostenuta sia dalla crescita del risparmio sia dal più elevato valore delle attività. E’ questa la fotografia che emerge dall’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane nel 2020 rilasciato da Banca d’Italia.

 

Lo studio pubblicato il 22 luglio conferma che si è ampliato il divario tra la ricchezza netta media e quella mediana, un indicatore del grado di diseguaglianza nella relativa distribuzione. L’indice di Gini della ricchezza netta familiare è cresciuto di 3 punti percentuali. La quota di famiglie indebitate è tornata ad aumentare, interrompendo la flessione iniziata dopo il 2008.

 

Lo studio evidenzia che i bilanci delle famiglie sono stati influenzati in misura significativa dalla pandemia di COVID-19 e dalle conseguenti misure di sostegno varate dal Governo. Secondo le informazioni riportate dagli oltre 6.000 nuclei familiari intervistati, nel 2020 il reddito annuo familiare, in termini reali e al netto delle imposte sul reddito e dei contributi sociali, è stato superiore di circa il 3 per cento rispetto a quello rilevato nell’indagine sul 2016 ma ancora inferiore di oltre il 12 per cento a quello registrato nel 2006, prima della crisi finanziaria globale.

 

Alla fine del 2020, sulla base dell’indagine le famiglie italiane disponevano in media di una ricchezza netta, costituita dalla somma delle attività reali e finanziarie al netto delle passività finanziarie, di circa 341.000 euro; il valore mediano, che separa la metà meno ricca delle famiglie dalla metà più ricca, era significativamente inferiore (poco meno di 151.000 euro). Rispetto all’ultima rilevazione, riferita al 2016, la ricchezza media è aumentata in termini reali dell’1,7 per cento; si è ulteriormente ampliato il divario tra la ricchezza netta media e quella mediana, un indicatore del grado di diseguaglianza nella relativa distribuzione.

 

Secondo l’indagine, il 50 per cento meno ricco delle famiglie possedeva solo l’8 per cento del patrimonio netto complessivo mentre la metà di quest’ultimo era detenuta dal 7 per cento più ricco. Sulla base delle risposte fornite, il patrimonio lordo delle famiglie italiane alla fine del 2020 era costituito per l’82 per cento da attività reali (immobili, aziende, oggetti di valore) e per il rimanente 18 per cento da attività finanziarie. Rispetto al 2016 il peso della componente finanziaria è aumentato di oltre 3 punti percentuali, riflettendo il simultaneo calo della ricchezza reale e l’incremento delle attività finanziarie detenute dalle famiglie.

 

Il valore medio delle attività reali alla fine del 2020 era lievemente più basso che nel 2016 (-0,8 per cento a prezzi costanti), principalmente a causa del minore valore degli immobili (-6,9 per cento) che ne costituiscono la componente principale. Le attività finanziarie mediamente detenute dalle famiglie erano invece significativamente maggiori (+30,8 per cento); la crescita ha interessato i nuclei lungo tutta la distribuzione della ricchezza, anche in conseguenza del diffuso aumento del risparmio durante la pandemia.

 

La ricchezza media posseduta dal 5 per cento delle famiglie più ricche è aumentata di oltre il 20 per cento rispetto al 2016, sospinta dall’aumento del valore delle attività finanziarie, dalla crescita del risparmio e dall’incremento delle attività reali in aziende. Anche la ricchezza netta media del 30 per cento più povero delle famiglie è aumentata rispetto al 2016, pur continuando a rappresentare meno del 2 per cento del patrimonio totale. È invece diminuita la ricchezza media nelle classi centrali della distribuzione, per effetto della diminuzione dei prezzi delle abitazioni, che costituiscono la componente principale del patrimonio di queste famiglie. Ne è derivato complessivamente un incremento della disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza netta.

 

Altro elemento che emerge è che la distribuzione delle attività finanziarie è più concentrata di quella della ricchezza netta: la metà delle famiglie con patrimonio netto più basso deteneva solo il 7 per cento della ricchezza finanziaria lorda complessiva mentre quasi la metà delle attività finanziarie era posseduta dai nuclei appartenenti al 3 per cento più ricco. La concentrazione è inoltre aumentata rispetto al 2016 riflettendo sia il maggiore risparmio in termini assoluti delle famiglie più abbienti sia il maggiore peso nei loro portafogli delle attività finanziarie che hanno beneficiato della dinamica complessivamente positiva dei mercati nel quadriennio. Ai divari nella quota di ricchezza finanziaria detenuta si associano portafogli con composizione molto diversa. Le famiglie appartenenti al quinto più povero detengono principalmente depositi; nelle classi centrali di ricchezza netta cresce progressivamente la quota di titoli di Stato italiani, obbligazioni private e investimenti gestiti; sono soprattutto le famiglie appartenenti al 20 per cento più abbiente a detenere direttamente azioni e ad affidare la gestione di una parte cospicua delle loro attività finanziarie a operatori professionali.

 

Complessivamente, tra il 2016 e il 2020, è cresciuta la quota di famiglie che detengono attività liquide o diversificate: il possesso di depositi è aumentato di circa 7 punti percentuali mentre quello di investimenti in fondi comuni o in gestioni patrimoniali di quasi 4. È invece proseguita la tendenza alla diminuzione della percentuale di nuclei che detengono titoli di Stato, che si è attestata su un nuovo minimo storico (meno del 6 per cento delle famiglie nel 2020). L’insieme delle attività finanziarie incluse nella definizione di ricchezza finanziaria fin qui adottata non comprende il trattamento di fine rapporto (TFR) maturato, il risparmio investito nella previdenza complementare, in piani pensionistici personali e nelle assicurazioni vita in quanto tali attività non sono nella piena disponibilità della famiglia.

 

In base ai dati dell’Indagine, in quasi il 19 per cento delle famiglie almeno un componente familiare ha dichiarato di aderire a fondi pensione o assicurazioni vita per integrare la pensione pubblica, oltre 2 punti percentuali in più che nel 2016 tenendo conto del cambiamento metodologico. La quota è più elevata tra le famiglie del Centro Nord (23 per cento a fronte del 10 per cento nel Mezzogiorno) e tra le fasce più abbienti della popolazione, variando dal 4 per cento del quinto di reddito inferiore al 40 per cento del quinto superiore. Tra i lavoratori dipendenti, queste forme di previdenza integrativa sono più diffuse tra i dirigenti (49 per cento; circa il 28 e il 15, rispettivamente, tra gli impiegati e gli operai), mentre il divario tra classi d’età è più contenuto (circa il 21 per cento nella fascia tra i 20 e i 45 anni, quasi il 29 per cento tra i 46 e i 55 anni e circa il 25 per cento tra i 56 e i 65 anni); tra i lavoratori indipendenti vi aderisce il 21 per cento, con un tasso lievemente inferiore tra gli individui più giovani (circa il 16 per cento nella classe di età fino a 45 anni contro il 26 per cento delle restanti classi).

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