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Consob e controlli sui consulenti (ex-promotori): i distinguo dell'Anasf

2/22/2016 | Maurizio Bufi - presidente Anasf

Le prassi rilevate tra le reti sono delle buone pratiche che, in una prospettiva di effettiva parità di regole tra operatori e di rafforzamento delle tutele per i risparmiatori, andrebbero applicate anche dalle altre realtà


Fa specie constatare che, in una fase storica in cui gli istituti di credito sono travolti da scandali e difficoltà strutturali, il settore delle reti di consulenti finanziari (ex-promotori finanziari) (o, meglio, di consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, secondo la nuova denominazione assunta dalla nostra categoria con la Legge di stabilità 2016) sia stato recentemente oggetto di un intervento ad hoc del regolatore. Mi riferisco alla Comunicazione emanata dalla Consob lo scorso 11 febbraio in materia di controlli sulle reti di consulenti (ex-promotori)/consulenti finanziari, in cui si elencano varie best practices riguardanti le procedure interne utilizzate dagli intermediari per il monitoraggio delle reti.

Se, in linea di principio, può ritenersi comprensibile la scelta del regolatore di individuare delle buone prassi per assicurare un’efficace tutela dei risparmiatori, è pur vero che risultano necessarie alcune precisazioni. A fronte di una serie di criticità che interessano le banche tradizionali, pare quanto meno strano pensare di concentrare l’attenzione su un modello – quello delle reti – che continua a dar prova della sua capacità di tenuta, soprattutto dal punto di vista della fiducia dimostrata dai risparmiatori. Occorre però riconoscere che le best practices, individuate nell’indagine conoscitiva dell’Autorità, non sono create ex novo ma riconosciute dalla stessa Consob già diffuse tra le reti.

Questo, naturalmente, è indice di un settore sano, che dimostra la propria proattività nel recepire le novità legate sia agli sviluppi della regolazione, sia alle dinamiche del mercato. Lo testimonia, del resto, il numero esiguo di consulenti finanziari oggetto di provvedimenti cautelari e sanzionatori (solo lo 0,2% degli iscritti all’Albo, secondo gli ultimi dati ufficiali riferiti al 2014). A fronte di queste evidenze, risulta fuorviante qualsiasi ricostruzione che tenti di ricollegare la Comunicazione della Consob a presunte criticità riguardanti la nostra attività, vieppiù al caso, del tutto estraneo alla nostra realtà, delle obbligazioni subordinate collocate ai risparmiatori dalle ormai tristemente note quattro banche di territorio in stato di dissesto.

Piuttosto, è vero il contrario: le prassi rilevate tra le reti sono delle buone pratiche che, in una prospettiva di effettiva parità di regole tra operatori e di rafforzamento delle tutele per i risparmiatori, andrebbero applicate anche dalle altre realtà attive nel settore dei servizi finanziari. Pensiamo, in particolare, alle banche di tipo tradizionale e anche a Poste Italiane. Dando perciò per assodato il contesto in cui occorre collocare il recente intervento della Consob, considero opportuno svolgere qualche osservazione sul contenuto della Comunicazione. Anzitutto, è da valutarsi positivamente la scelta dell’Autorità di valorizzare il principio di proporzionalità, laddove a ciascun intermediario si riconosce la facoltà di valutare i propri assetti procedurali sulla base delle proprie specificità. Con riferimento ai manager a cui siano affidati compiti di monitoraggio dei propri colleghi, pare del tutto coerente l’indicazione secondo cui gli intermediari sono chiamati a predisporre strumenti che consentano l’effettivo svolgimento di tali funzioni.

Sempre in relazione al caso del manager, qualche precisazione si rende necessaria rispetto all’indicazione della Consob volta alla previsione, nei sistemi di remunerazione, di un meccanismo di malus per tenere conto di eventuali pregiudizi arrecati alla clientela da uno dei consulenti finanziari coordinati dal manager. Se, in linea di principio, la previsione di siffatti dispositivi può in alcuni casi risultare coerente nell’ambito del più ampio apparato di monitoraggio della rete, si deve tuttavia ricordare, come del resto è riportato nelle premesse alla Comunicazione, che l’obbligo di vigilare sul rispetto della disciplina MiFID da parte di tutto il personale (considerando non solo i consulenti finanziari operanti su mandato di un soggetto abilitato, ma anche i dirigenti e i dipendenti) ricade anzitutto sull’intermediario preponente e non, di per sé, sui singoli professionisti.

Altro elemento di riflessione concerne le possibili interazioni tra le varie forme di monitoraggio della rete: controlli informatici a distanza, contatti diretti con la clientela, ispezioni in loco presso gli uffici dei consulenti finanziari. A tal proposito, la chiave di lettura che emerge dalle indicazioni del regolatore mi pare riconducibile all’antico adagio secondo cui in medio stat virtus. Nell’esercizio della propria autonomia ciascun intermediario è perciò chiamato a stabilire un’appropriata articolazione dei controlli, senza eccedere nell’impiego di una forma di monitoraggio rispetto alle altre e, dunque, senza gravare i singoli consulenti finanziari di oneri di per sé estranei all’obiettivo primario della tutela degli investitori.

In conclusione, rispetto alla recente Comunicazione della Consob ritengo sia necessario riconoscere che le attuali criticità del sistema finanziario italiano riguardano ben altri operatori, estranei all’attività dei consulenti finanziari, e che anzi le reti confermano di sapersi distinguere in positivo, tanto da poter dar vita a delle buone pratiche. Pratiche e comportamenti che, ove applicate anche altrove, potrebbero risollevare la reputazione delle banche e contribuire a ridare fiducia al sistema finanziario ed economico del nostro paese.

(intervento apparso su Milano Finanza del 20 febbraio 2016)

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