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Reti & SGR, la grande sfida dopo il test del Covid

9/12/2020 | Francesco D'Arco

Il rapporto tra l’Italia e i fondi comuni è più lungo di quanto si possa immaginare. Ma nonostante i quasi 40 anni di storia e i numeri del 2020 ancora non riusciamo ad abbattere la barriera della…


Il rapporto tra l’Italia e i fondi comuni è più lungo di quanto si possa immaginare. Il primo fondo comune aperto specializzato nell’investimento in titoli azionari e obbligazionari di emittenti italiani fu istituito già nel 1960. Ma di una vera e propria industria del risparmio gestito possiamo parlarne solo dal 1984, l’anno dopo l’approvazione di una legge ad hoc sui fondi comuni che portò, tra le altre cose, alla nascita di Assofondi (era questo il nome originale dell’associazione che oggi tutti conosciamo come Assogestioni). Sempre in quegli anni compivano i primi passi anche le prime normative europee: la versione embrionale della “Ucits” è del 1985. 

 

In meno di 40 anni l’industria è arrivata a gestire un patrimonio complessivo superiore ai 2200 miliardi di euro, un risultato in crescita nel 2020, nonostante la crisi esplosa con la pandemia da Covid-19. Risultati importanti e confermati anche dai dati rilevati da Assoreti: nei primi sei mesi i consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede hanno raccolto oltre 8,8 miliardi di euro nel solo risparmio gestito, un dato in crescita del 38% rispetto ai 6,4 miliardi di euro. Una crescita che porta a guardare con grande fiducia al futuro, con la forza di chi ha superato brillantemente uno stress test “reale”. 

 

Ma aver gestito positivamente, in termini di crescita, l’emergenza Covid rischia di nascondere i punti ancora critici dell’industria del risparmio gestito italiano. Vere e proprie sfide che il settore deve affrontare da anni ma che ancora non riesce a superare. Su tutte spicca quello ricordato recentemente da Fabio Galli, direttore generale di Assogestioni, in occasione di un’audizione alla VI Commissione Finanze alla Camera: la previdenza complementare.

 

Durante il lockdown, “tra inizio marzo e fine aprile, non abbiamo verificato in Italia nessun fenomeno di disinvestimento da panico. Anzi, c’è stata una sostanziale tenuta dei flussi di investimento”, ha sottolineato Galli. Un fatto, ha aggiunto, “molto positivo” perché “riflette una maturazione nei comportamenti dei risparmiatori e la capacità dei gestori di offrire portafogli di investimento diversificati e dei consulenti di spiegare la congiuntura economica”. 

 

Adesso, però, è importante guidare i risparmiatori, ma anche i consulenti, verso una nuova maturazione: se per quanto riguarda i fondi comuni, la percentuale di strumenti presenti nei portafogli delle famiglie italiane è in linea con la media degli altri paesi europei (circa il 12%, un dato superiore anche a quello degli USA); quando guardiamo al mondo dei fondi pensione registriamo un andamento lento negli ultimi 15/20 anni che vede l’Italia ancora indietro rispetto a Francia, Germania e UK (la quota di fondi pensione presenti nei portafogli delle famiglie italiane non supera il 20% contro il 60% degli inglesi). Serve uno sforzo comune di operatori, associazioni e regolatori per creare un contesto favorevole allo sviluppo del mercato previdenziale.

 

I numeri del 2020 dimostrano che reti ed SGR sono stati in grado - come industria - di educare i clienti a gestire bene il panico, evitando disinvestimenti di massa poco utili, adesso però bisogna rompere l’ultima barriera: educare gli italiani ad un risparmio previdenziale.

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