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L'offerta fuori sede? "Per i consulenti autonomi è controproducente"

6/7/2017

È una disciplina che "prevede e richiede costi importanti per gli intermediari; non sono sicuro che un eccesso di norme in questa direzione sia positivo" per i soggetti fee only. Parola di Marco Tofanelli (Assoreti).


"L'offerta fuori sede prevede e richiede costi importanti per gli intermediari; non sono sicuro che un eccesso di norme in questa direzione sia positivo per i soggetti autonomi". Ad affermarlo Marco Tofanelli, segretario generale Assoreti che, intervistato da Advisoronline, invita tutti a riflettere sui rischi che l'introduzione di norme previste per attività diverse potrebbe avere sullo sviluppo dei consulenti autonomi: "potrebbe essere controproducente". 

 

L'introduzione dell'articolo 30 bis - relativo all'offerta fuori sede dei consulenti autonomi - nel decreto di attuazione della MiFID II, ha visto una decisa opposizione del mondo delle banche e delle reti. Per i più critici siamo di fronte a una difesa del "proprio territorio" fuori tempo e privo di fondamenti normativi. Qual è la sua opinione?
Non è assolutamente questo il principio che accompagna la nostra critica. Non è un problema di "difesa del territorio", ma un tema di "architettura di una disciplina" che esiste in Italia da 30 anni e che ha dimostrato in questi anni di riuscire a tutelare adeguatamente i risparmiatori. L'attuale disciplina italiana dell’offerta fuori sede risponde, a mio avviso, alla esclusiva finalità di tutela degli investitori e dell’integrità del mercato richiesta dalla Mifid II. Non solo. Nel discutere sull'utilità o meno di aprire l'offerta fuori sede ai consulenti autonomi ci si dimentica che la disciplina dell’offerta fuori sede si atteggia chiaramente quale disciplina dell’attività e non del soggetto, applicandosi innanzitutto all’intermediario al quale si impone di avvalersi di persone qualificate, a prescindere dalla loro posizione di agenti o di dipendenti o finanche di mandatari. 
Richiamare questa disciplina per regolare una parte dell'attività dei consulenti autonomi, che non è di intermediazione, forzandola, quindi, verso una disciplina del soggetto, creerebbe confusione e un vulnus su un impianto che ha una ratio ben chiara e che ha dimostrato di tutelare e creare valore nel corso degli anni.

 

C'è però chi sostiene che non consentire ai consulenti autonomi l'offerta fuori sede significherebbe non recepire completamente la Mifid II e creare un unicum in Europa?
Non è corretta come critica. Il considerando 101 della MIfid II dispone che “le condizioni per l’esercizio di attività al di fuori dei locali dell’impresa di investimento (vendita porta a porta) non dovrebbero essere disciplinate dalla presente direttiva”. Si tratta, quindi, a pieno titolo, di una disciplina nazionale che, beninteso, rispetta tutti principi comunitari. Sicuramente siamo di fronte ad un unicum in Europa, ma un unicum positivo. La disciplina dell'offerta fuori sede italiana si basa su due grandi presupposti: da un lato c'è la persona fisica, che ha una relazione personale e di fiducia con il cliente; dall'altro c'è l'intermediario che risponde in solido, anche per eventuali danni al cliente finale conseguenti a responsabilità penale.  
Questa disciplina ha funzionato molto bene: ha garantito tutela del cliente, soddisfazione dell'intermediario e del consulente. E ha permesso ai principali gruppi finanziari internazionali di ben operare in Italia. La disciplina dell'offerta fuori sede indica un modus operandi che ha dato grandi soddisfazioni all'intero mercato, mitigando i rischi reputazionali per distributori ed emittenti. 

 

Ma rimaniamo un unicum in Europa?
Certo ma, ripeto, non lo considero un elemento negativo. Anzi, visti i risultati ottenuti in questi 30 anni perché non pensare di portare la disciplina italiana in Europa? Abbiamo una disciplina ben studiata dal punto di vista giuridico e che ha garantito risultati importanti, in linea con la Mifid II: perché non chiedere di esportarla invece di modificarla? Essere gli unici in Europa, in questo caso, credo sia positivo. Non dimentichiamo che la Mifid II chiede, in buona sostanza, un servizio di consulenza evoluta, e le reti hanno sempre dimostrato di essere all'avanguardia; questo è un nostro punto di forza che dovremmo far valere anche a livello comunitario.
Dovremmo tener presente, nelle considerazioni sul futuro del settore, anche la nostra storia: trent'anni fa, il mondo della consulenza finanziaria italiana si formò proprio con "network di persone". Solo successivamente è subentrata la grande industria che ha cercato di avviare il business della consulenza ma senza ottenere i risultati sperati, fino a quando, con una regolamentazione adeguata, non hanno fatto il loro ingresso definitivo in questo mercato gli attori dell'industria finanziaria (banche, assicurazioni, soggetti esteri) che hanno deciso di operare in Italia e che grazie alla disciplina dell'offerta fuori sede, che ripeto ha dato certezze, hanno trovato un modus operandi efficace, in grado di tutelare i clienti e di dare ottimi ritorni di profitto a distributori e produttori, domestici ed esteri, in una prospettiva di continuità di lungo periodo . 

 

Resta il nodo dei consulenti autonomi: se si chiude la porta dell'offerta fuori sede non si rischia di frenare sul nascere lo sviluppo di questi attori?
Non credo. Questi professionisti, così come altri liberi professionisti attivi in altri settori in Italia, in base a semplici principi di diritto comune, non in contrasto con la disciplina speciale, hanno certo la possibilità di svolgere, esemplificando, attività di “promozione” della propria persona, o di esecuzione del contratto al di fuori del loro domicilio (per intenderci, a mio parere almeno, è lecito che un consulente autonomo accompagni il proprio cliente in banca a svolgere le operazioni raccomandate). Ed è naturale che la stipula del contratto avvenga "in sede". Introdurre norme previste per attività diverse potrebbe essere controproducente anche per i consulenti autonomi. L'offerta fuori sede prevede e richiede costi importanti per gli intermediari; non sono sicuro che un eccesso di norme in questa direzione sia positivo per i soggetti autonomi. Di sicuro, lo sviluppo della professione non è vincolato all'esercizio dell'attività fuori sede; e, in ogni caso, è libera nei confronti dei clienti professionali. 

 

Qualcuno ha proposto di inserire come incipit dell'articolo 30 bis la dicitura "su richiesta del cliente…". Le sembra una strada percorribile? 
Personalmente sono perplesso di fronte a questa proposta che ricorda la vecchia norma che riguardava l'offerta di prodotti non adeguati: bastava portare il cliente a dichiarare che accettava uno strumento non adeguato alle sue caratteristiche per proporre al risparmiatore qualunque tipologia di prodotto. Non trovo che queste soluzioni vadano verso la tutela del cliente. Ripeto, sono convinto che per i consulenti autonomi non sia assolutamente necessario prevedere norme distoniche. In gioco non c'è la libera concorrenza, già garantita, ma la tutela del risparmiatore finale.

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