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Tofanelli (Assoreti), basta con il dibattito sugli "indipendenti"

6/8/2022

Riportare al centro delle riflessioni l'utilizzo o meno dell'aggettivo indipendenti accanto al nome di "consulenti finanziari" significa tornare indietro nel tempo. E non serve ai clienti.


“Sono apparsi in questi giorni interventi volti ad influenzare l’opinione pubblica e quella dei parlamentari in merito alla attribuzione della qualifica di “indipendenti” ai consulenti finanziari autonomi e alle società di consulenza finanziaria e contenenti distinguo rispetto ad altri operatori che potrebbero esporre, questi solo, i clienti alle conseguenze negative dei conflitti di interesse”. Marco Tofanelli, segretario generale di Assoreti, raggiunto da AdvisorOnline.it manifesta subito la sua preoccupazione per il ritorno sui media di un dibattito che si augurava fosse ormai finito in soffitta.

 

A riaprire il dibattito alcune audizioni presso la Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziari, in particolare quella sulle vendita dei prodotti finanziari che lo scorso 24 maggio ha coinvolto i rappresentanti delle associazioni di consulenza finanziaria indipendente NAFOP, ASSOSCF, IFACONSULTING.

 

Dopo aver raccolto l’opinione a riguardo di Luca Mainò, vicepresidente AssoSCF, e membro del consiglio direttivo Nafop (vedi articolo), abbiamo chiesto a Tofanelli se secondo lei è davvero giunto il momento di attribuire la qualifica di “indipendenti” solo ad alcune categorie di consulenti?

 

“Il tema è complesso e non può essere lasciato alle dichiarazioni di un singolo attore del mercato, ma deve essere rimesso, come è stato, alla sintesi politica del legislatore e dei suoi processi di garanzia per tutti” ha risposto il segretario generale di Assoreti. “Banalmente, altro è la qualificazione dell’impresa finalizzata ad identificarne l’attività, come, ad esempio, quella di impresa bancaria o di impresa assicurativa, il cui abuso è punito con sanzioni di natura amministrativa; altro è la qualificazione dell’impresa finalizzata ad individuare un particolare atteggiarsi del modo di svolgimento di un’attività, come sarebbe nel caso in cui si attribuisse ad un’impresa il diritto esclusivo di qualificarsi come consulente “indipendente”, con l’effetto di connotare come “non indipendenti” altre imprese che pure svolgono nel medesimo mercato la medesima attività, ossia la consulenza, con modalità diverse per via di elementi -le modalità remunerative- che non incidono, non possono e non devono incidere, sulla prestazione e la qualità del servizio”.

 

Un tema che il legislatore ha già affrontato?

“Corretto. Il tema è stato risolto dal legislatore italiano, non casualmente, proprio nel corso dei lavori preparatori che hanno condotto al recepimento della MiFID II, in ossequio alle novità che pervenivano dalla legislazione comunitaria che introduceva per la prima volta la consulenza “su base indipendente”, riconoscendola peraltro nell’alveo delle attività esercitabili dai soggetti abilitati (qui, per quanto interessa, Banche e SIM)” continua Tofanelli. “Il legislatore italiano è stato sapiente, equilibrato e razionale e, tenendo conto dell’esigenza di differenziare anche nella denominazione i diversi operatori presenti nel mercato, ha ritenuto di coniare nuove denominazioni (se non proprio le più “accattivanti”) sicuramente idonee a distinguere adeguatamente ciascun operatore dagli altri senza alterare le basi di una leale concorrenza fra gli stessi”.

 

A riguardo Tofanelli ricorda che per quanto concerne le persone fisiche il legislatore “ha coniato le contrapposte denominazioni di “consulenti finanziari autonomi” e di “consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede” per identificare, con la prima, i consulenti che esercitano l’attività in proprio, come lavoratori autonomi (è un inquadramento corretto per chi non svolge il lavoro in qualità di subordinato o parasubordinato) e, con la seconda, i consulenti che esercitano fuori sede l’attività - anche di consulenza, anche indipendente - per conto di un soggetto abilitato alla prestazione di servizi di investimento ai sensi della MiFID (tipicamente, una Banca o una SIM), nella veste di dipendenti o mandatari o agenti”. Mentre per quanto riguarda le società di consulenza è stato coniata “la denominazione di società di consulenza finanziaria, per distinguerle dalle SIM, che pure hanno veste societaria e si caratterizzano per il fatto di essere autorizzate ai sensi della MiFID (grazie anche al possesso di più elevati requisiti patrimoniali) e di potere pertanto scegliere di prestare altri servizi di investimento oltre a quello di consulenza (ma volendo solo quello e solo in modalità indipendente) in tutti i Paesi dell’Unione europea” spiega sempre il segretario generale Assoreti che ricorda, inoltre, come nello stesso periodo, il legislatore italiano abbia “provveduto a modificare la denominazione di promotore finanziario in quella di consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede, riconoscendo alfine, dopo anni, che l’attività di quest’ultimo consiste nella prestazione – per conto del soggetto mandante – di raccomandazioni personalizzate alla clientela, ossia, nella prestazione del servizio di consulenza in materia di investimenti, secondo la definizione già fornita dalla MiFID”.

 

“Molto semplicemente” continua Tofanelli, “se il servizio svolto dal soggetto mandante è il servizio di consulenza in materia di investimenti, con procedure e processi compliant con quella normativa, anche il collaboratore -agente o dipendente- che per conto del soggetto mandante presta tale servizio deve rispettare quella disciplina e di conseguenza non può che assumere, coerentemente e per evitare confusione, la denominazione di consulente finanziario e, ove operi fuori sede, quella più specifica di consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede, sottoposta in Italia ad un regime di riserva di attività a maggior tutela degli interessi dei risparmiatori e dell’integrità dei mercati finanziari”.

 

Rimane aperta però la questione che le associazioni di consulenti autonomi sollevano, ovvero basta tutto questo per aiutare un cliente a riconoscere l’esistenza o meno di un conflitto di interesse? Anche in questo caso Tofanelli invita a guardare con attenzione la legge: “Oggi, chi intende prestare consulenza finanziaria alla clientela ha numerose opzioni a disposizione, regolate in misura minore o maggiore dall’ordinamento a seconda dei modi in cui viene svolta l’attività e della intensità dei rischi che possano derivarne” spiega il segretario generale Assoreti. “Si parte, così, dalle figure di operatori, quali sono i consulenti finanziari autonomi e le società di consulenza finanziaria, con limitati requisiti prudenziali che prestano la consulenza fuori del terreno normativo della MiFID e che per questa ragione non possono operare fuori dai confini nazionali né svolgere altri servizi di investimento (ma possono svolgere altre attività professionali), per passare (tralascio qui le SGR) alle SIM che operano nell’alveo della MiFID e che possono essere classificate diversamente in funzione dimensionale e della complessità operativa con requisiti prudenziali anche importanti, proporzionati e differenti, per arrivare alle banche che operano pure esse nell’alveo della MiFID e che, naturalmente, abbinano i servizi di investimento all’attività bancaria. In ogni caso, quando questi intermediari prestano il servizio di consulenza, sia esso su base indipendente sia su base non indipendente, la disciplina sui conflitti di interesse rilevante interna corporis è la stessa, non cambia, differendo quella relativa agli incentivi (che nel primo caso non possono essere trattenuti, mentre nel secondo caso devono essere giustificati tra l’altro da una migliore qualità del servizio), così dimostrando che la neutralità della raccomandazione presentata infine al cliente dal consulente abilitato costituisce in sé un connotato indefettibile del servizio di consulenza, comunque e da chiunque prestato, e che la raccomandazione deve essere in ogni caso effettuata avendo di mira esclusivamente l’interesse del cliente. Così è, deve essere, la consulenza prestata su base non indipendente, del tutto identica, sul piano dell’attività e dei processi, a quella prestata su base indipendente.

 

Esiste una rigida disciplina sulla trasparenza dei costi e oneri dei servizi, funzionale a porre gli investitori nella condizione di poter selezionare il consulente più idoneo in base alle proprie esigenze di consulenza, al buon nome del consulente e alla qualità e al costo del servizio stesso, senza indebiti vantaggi competitivi generati da etichette assolutamente non idonee a certificare la qualità delle raccomandazioni fornite alla clientela”.

 

Insomma il tema dovrebbe essere definitivamente archiviato e, anzi, secondo il parere di Tofanelli sarebbe importante ogni tanto non perdere di vista il recente passato perché “non va dimenticato che i consulenti finanziari autonomi e le società di consulenza finanziaria hanno per molti anni operato in Italia al di fuori dell’ordinamento pubblicistico di settore e che solo in occasione del recepimento della MiFID II sono stati sottoposti ad una vigilanza pubblica quale condizione per potere svolgere il servizio di consulenza in materia di investimenti pur senza possedere (i requisiti per) l’autorizzazione ad operare (anche solo) come SIM, nell’esercizio di un’opzione rimessa da tale direttiva alla discrezionalità degli Stati membri; così come non bisogna dimenticare che tale opzione si è potuta esercitare senza oneri a carico dello Stato, poiché si è potuto assolvere agli oneri della vigilanza pubblica nei loro confronti (allora come ora, ritengo) utilizzando il know-how, le infrastrutture (e i correlativi investimenti e poi i contributi annuali, a favore) di quello che un tempo era l’Organismo per la tenuta dell’Albo dei Promotori Finanziari e che è stato appositamente trasformato nell’Organismo di vigilanza e tenuta dell’albo unico dei Consulenti Finanziari”.

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