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Retail Investment Strategy, prosegue il dibattito

6/6/2023

Le associazioni europee del settore finanziario e assicurativo hanno formulato alcune osservazioni ed espresso alcuni motivi di preoccupazione relativi alle proposte contenute nella riforma del quadro legislativo per gli investimenti al dettaglio


La Retail Investment Strategy presentata il 24 maggio scorso dalla Commissione Europea rappresenta la più ampia riforma del quadro legislativo dell'Unione per gli investimenti al dettaglio mai realizzata. Con una dichiarazione congiunta, le associazioni che rappresentano il settore finanziario e assicurativo europeo (AMICE, EACB, EAPB, EBF, EFAMA, ESBG, EUSIPA, Insurance Europe) che stanno lavorando ad un’analisi approfondita della riforma, hanno iniziato a formulare alcune osservazioni di alto livello ed espresso alcuni motivi di preoccupazione relativi alle proposte contenute nel documento.

 

“Sosteniamo fermamente l'obiettivo di aumentare la partecipazione degli investitori al dettaglio nei mercati finanziari e apprezziamo l'ampio lavoro della Commissione europea in questo campo” - si legge nella dichiarazione. “In particolare, siamo lieti di vedere l'incoraggiante passaggio alla comunicazione "digital-by-default", nonché lo sforzo per semplificare le informazioni e promuovere ulteriormente l'alfabetizzazione finanziaria”. Tuttavia, avvertono le associazioni, “molte misure nelle proposte sono di ampia portata e sollevano molteplici preoccupazioni”, in particolare su quattro fronti.

 

In primo luogo, “sebbene la Commissione abbia dichiarato di aver abbandonato il suo piano originario di vietare completamente le commissioni nella distribuzione di prodotti di investimento e prodotti di investimento assicurativi a causa delle potenziali perturbazioni del mercato”, le proposte della Retail Investment Strategy “contengono numerosi divieti al pagamento delle commissioni, che avrebbero comunque conseguenze dirompenti per il settore finanziario europeo e per l'accesso dei consumatori agli investimenti e alla protezione assicurativa”. Le associazioni nutrono inoltre sostanziali riserve sul nuovo test del “miglior interesse del cliente”.  L'approccio proposto, che si concentra in modo sproporzionato sui costi, può infatti indurre i clienti a privilegiare il prodotto "più economico" rispetto ad altri che potrebbero potenzialmente offrire loro un valore maggiore. “Un tale risultato sarebbe, di fatto, contrario al miglior interesse del cliente”.

 

In secondo luogo, “il numero significativo di nuovi processi, politiche, requisiti organizzativi, informazioni tecniche e obblighi di conformità introdotti dalle proposte si discosta dagli obiettivi dichiarati sia di ridurre il sovraccarico di informazioni per i clienti sia di semplificare l'accesso ai servizi finanziari”. In effetti, l'eccessiva mole di requisiti aggiunge complessità che con ogni probabilità scoraggeranno l'impegno dei consumatori, “poiché la lodevole ambizione di trasformare i depositanti europei in investitori sarebbe ostacolata da un processo di investimento ancora più lungo, complesso e oneroso”.

 

Terzo, le associazioni avvertono che “l'introduzione proposta di benchmark quantitativi "value for money", validi per tutti, è in contraddizione con l'obiettivo principale del processo di investimento, che è quello di offrire soluzioni su misura per le diverse esigenze dei clienti. Il valore, infatti, va oltre i costi e ha significati diversi per i vari consumatori, a seconda delle circostanze, degli obiettivi e dei valori personali”. Un simile esercizio di benchmarking “non solo sarebbe estremamente complesso da eseguire, con benefici limitati per i clienti (un approccio incentrato sui costi piuttosto che incentrato sugli investitori), ma stabilisce essenzialmente un intervento sui prezzi nei mercati dei capitali guidato dalla regolamentazione. Ci chiediamo quindi quale sia la necessità, la base giuridica e le conseguenze, in particolare in termini di concorrenza di mercato, di una simile scelta politica. Inoltre, l'intervento sui prezzi attraverso i benchmark costituirebbe una minaccia significativa per lo sviluppo di prodotti innovativi, soprattutto nelle numerose aree di investimento emergenti che non dispongono di dati storici sui prezzi, e non sarebbe compatibile con gli sforzi in corso per promuovere un'offerta più sostenibile. Tutto ciò avrà chiaramente un impatto negativo sull'attrattiva internazionale del mercato dei capitali dell'UE”.

 

Quarto, le associazioni manifestano analoghe preoccupazioni riguardo alla “tempistica irrealizzabile per l'attuazione dei nuovi requisiti. Il settore ha bisogno di un tempo adeguato per applicare i nuovi requisiti nei milioni di rapporti contrattuali differenti che intrattiene con gli investitori al dettaglio e con i clienti. Pertanto, la tempistica deve considerare attentamente il momento in cui saranno pubblicate tutte le necessarie specifiche di livello 2 e le disposizioni nazionali. Al momento, le date di recepimento proposte nell'attuale bozza renderebbero impossibile per il settore conformarsi, in quanto si può già prevedere che per allora non saranno state pubblicate nemmeno le specifiche di livello 2”.

 

“In qualità di rappresentanti del settore finanziario e assicurativo – conclude la dichiarazione – rimaniamo pienamente impegnati a contribuire in modo costruttivo al dibattito su come responsabilizzare gli investitori retail. Continueremo il dialogo con le istituzioni europee e siamo pronti a discutere ulteriormente le misure proposte una volta completata la nostra valutazione.”

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