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Trump e i mercati: forse è solo un'infatuazione

5/16/2017

L'elezione di The Donald ha aiutato a cambiare il sentimento degli investitori. Ma è davvero tutta farina del suo sacco? E il rally delle Borse è destinato a continuare?


"Trump Bump": così gli investitori di Wall Street chiamano il rialzo dei mercati azionari globali a seguito della elezione del tycoon. Motivo? Trump ha generato dalle aspettative, finora in gran parte non concretizzate, che la sua presidenza avrebbe dato inizio ad un’epoca di bassa tassazione, di deregolamentazione del mercato e di investimenti nelle infrastrutture che avrebbero generato una crescita degli Stati Uniti, con un effetto a catena positivo sull’economia mondiale.

La sua elezione, insomma, ha aiutato a cambiare il mood tra gli investitori negli Stati Uniti, contribuendo all’ottenimento di un sentiment positivo del mercato, ma per quanto riguarda l’economia globale, fanno notare alcuni gestori, il 45esimo presidente degli Stati Uniti ha anche avuto la sua buona parte di fortuna: Trump è stato eletto quando i mercati mondiali iniziavano a sentire gli effetti benefici del nuovo pacchetto di stimoli messo in campo dalle autorità cinesi all’inizio del 2016, per stimolare un'economia rallentata da un impulso anticorruzione.

Non solo. Anche la modesta ripresa del prezzo del petrolio è stata una manna per l’economia americana non appena Trump è salito alla presidenza. Dopo essersi aggirato intorno ai 30 dollari al barile per la prima metà del 2016, il petrolio è ora saldo intorno ai 50 dollari al barile, un livello di prezzo a cui un buon numero di società di shale gas riesce a far operare i propri impianti di estrazione in modo produttivo, con l’effetto di una ripresa nella produzione industriale. 



I primi 100 giorni
“Riassumendo i primi 100 giorni di Trump bisogna sottolineare come sia riuscito ad accrescere le aspettative e la fiducia a livelli inusuali, e che questi elementi abbiano avuto un impatto reale sulle assunzioni e sugli investimenti. Alcuni provvedimenti di deregolamentazione sono già stati approvati. Dove, invece, c’è ancora molto da fare è a Washington: Trump deve migliorare il funzionamento della macchina politica per portare a termine almeno in parte la sua riforma del sistema di tassazione” spiega Stephen Mitchell, head of Strategy Global Equities di Jupiter Asset Management.

Già, le tasse. Le anticipazioni sui cambiamenti del sistema di tassazione hanno creato un atteggiamento di attendismo tra le grandi corporation americane e qualora queste rimanessero deluse non aiuterebbero un’economia che in fin dei conti ha raggiunto una fase matura del ciclo. "Qualora Trump avesse successo e si focalizzasse sulle problematiche nazionali e non sulle questioni geo-politiche internazionali, potrebbe prolungare questo ciclo" prosegue Mitchell.

"L’ottimismo si è basato sulla prospettiva di riduzioni fiscali e deregolamentazione. Trump ha già iniziato a emettere ordini esecutivi per cambiare le regole sulla riduzione delle emissioni di carbonio. L'industria dei servizi finanziari sarà probabilmente la prossima a essere toccata: per il meglio o per il peggio, la deregulation sta accadendo. Questo dovrebbe continuare a sostenere le piccole imprese, mentre l'aumento della fiducia delle imprese e dei consumatori dovrebbe tradursi in una crescita economica più forte" aggiunge Cormac Weldon, head of US Equity di Artemis IM.



Ma l'entusiasmo è forse eccessivo. Il rally di Trump fra un po' di mesi sarà davvero finito? "L’impennata di mercati azionari, dollaro e rendimenti dei bond USA che ha accolto l’arrivo del neopresidente alla Casa Bianca ha iniziato a mostrare segnali di cedimento nel corso dei primi 100 giorni di presidenza" fa notare Keith Wade, capo economista e strategist di Schroders. "Più in generale - prosegue - non c’è stata l’ondata di protezionismo che avrebbe potuto condurre a una guerra commerciale e danneggiare l’outlook globale. Le aree dipendenti dal commercio, come gli emergenti, ne hanno tratto sollievo. Il presidente ha però rotto la tradizione nei confronti del dollaro, lamentandosi della sua forza. Sembra aver abbandonato la politica del dollaro forte e questo potrebbe avere conseguenze significative nei prossimi 100 giorni".

Una corsa a ostacoli
Sul fronte politico ed economico il neopresidente deve evitare di andare a sbattere sugli scogli. La navigazione non è facile, ma The Donald ha più di una carta da giocare. “L’agenda è stata rallentata dai recenti stop posti dal Congresso su immigrazione, Obamacare e lo stesso protezionismo, che potrebbe dunque essere parte di una strategia negoziale: la minaccia del protezionismo usata per ottenere dollaro debole" spiegano in un recente paper Andrea Delitala, head of Euro Multi Asset di Pictet Asset Management, e Marco Piersimoni, senior portfolio manager dell'asset manager ginevrino. C’è poi il tema dell’inflazione: è salita come previsto, fanno notare i due gestori, ma a guardare i dati annuali pare che il picco di tutti i CPI del mondo, dovuto all’effetto base sulla componente energetica, sia già alle spalle. "Non sarà dunque un problema di quest’anno, salvo che il prezzo delle materie prime non si ritenga destinato a un trend in rialzo o che la Trumponomics, potenzialmente inflazionistica, non produca i suoi effetti nell’immediato. Ipotesi che tuttavia riteniamo improbabili” proseguono i due esperti.

C’è, infine, chi ha un’altra visione dei primi 100 giorni di Trump e, in fondo, delle qualità politiche del neopresidente. Perché i mercati hanno reagito con un’alzata di spalle quando il nuovo presidente americano ha subito la sua prima clamorosa sconfitta al Congresso? Perché l’arte di non fare affari di Trump non ha decretato la fine del cosiddetto Trump Rally? "Forse perché, dopo tutto, non si tratta affatto di un Trump rally, ma solo di un rialzo del mercato basato sulla speranza di un aumento sostenibile dell’inflazione e della crescita. Probabilmente è proprio questa speranza che dalla metà del 2016 continua a trainare i mercati obbligazionari, valutari e azionari in tutti i continenti. Una speranza che fino a oggi non si è mai offuscata, e lo dimostrano i dati economici” risponde Stefan Kreuzkamp, capo investimenti di Deutsche Asset Management.

Occhio al cambio peso - dollaro
Dati alla mano, infatti, dall’inizio di dicembre l'S&P 500 riesce a stento a tenere il passo con i mercati azionari globali, mentre l'indice Russell 2000, più orientato al mercato interno, continua a sottoperformare. “Questo potrebbe significare che da quando è entrato in carica, il neopresidente non è riuscito a infondere nuovo ottimismo" aggiunge Kreuzkamp, che invita a guardare il cambio tra peso messicano e dollaro USA, come indicatore che riflette meglio l'opinione del mercato sull'assertività politica di Trump. 

Dopo le elezioni il peso ha perso oltre il 20% rispetto al dollaro, per poi arrivare a fine marzo con un recupero quasi totale. "L’interpretazione positiva dei compratori di peso, attualmente più rilassati, dipende dalla prospettiva che i piani protezionistici di Trump falliranno. L’interpretazione negativa metterebbe invece in dubbio la rapida attuazione delle riforme fiscali, un’eventualità che potrebbe deludere gli investitori americani – così come il rinvio dei progetti infrastrutturali” conclude l'esperto tedesco.

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