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Fondi comuni: Consob prende di mira le retrocessioni

2/19/2018

La Commissione in uno studio: il 70% delle fee pagate dai clienti servono a remunerare i distributori, la MiFID II determinerà una revisione dei modelli distributivi


Una quota molto elevata dei costi sostenuti dai sottoscrittori dei fondi comuni è destinata a remunerare gli sportelli bancari e le reti dei consulenti finanziari: circa il 70% delle commissioni riconosciute alle società di gestione del risparmio è infatti assorbito dai costi di distribuzione. È quanto emerge da un recente paper della Consob che analizza la struttura e l’evoluzione del costo dei fondi comuni aperti italiani nel periodo 2012-2016. Verosimile, scrive la Commissione, la nuova disciplina introdotta dalla direttiva MiFID II, contenente disposizioni più restrittive in materia di incentivi, potrà determinare una revisione degli attuali modelli distributivi e commissionali. Lo studio analizza poi, in dettaglio, i costi dei fondi, distinguendo fra i costi di gestione (costi che gravano sul patrimonio del fondo, quali le commissioni di gestione e di performance) e i costi di ingresso e uscita, che invece gravano sul sottoscrittore.

Nel dettaglio, l'incidenza dei costi di gestione sul patrimonio dei fondi è rimasta complessivamente stabile attorno all’1,4%, ma il peso sugli utili prodotti dai fondi è cresciuto notevolmente, passando dal 16% al 51%. Nel 2016, per alcune categorie di fondi, i costi di gestione sono risultati superiori all’utile e il rendimento dei fondi è risultato, quindi, negativo (in particolare per i fondi alternativi e per quelli monetari, sebbene questi ultimi rappresentino ormai una categoria residuale). I costi di ingresso sono cresciuti notevolmente (dallo 0,7% all’1,5%), mentre i costi di uscita si sono progressivamente assottigliati, fino a divenire del tutto residuali (0,05%). "La maggiore incidenza delle commissioni sui rendimenti dei fondi va posta in relazione con l’andamento negativo dei mercati azionari, che ha caratterizzato buona parte del periodo analizzato, e della forte riduzione dei tassi di interesse" si legge nello studio.

Lo studio registra anche una modifica nella composizione delle masse gestite: dal 2012 al 2016, infatti, si è assistito ad una riduzione del peso dei fondi obbligazionari e monetari a vantaggio dei fondi flessibili (il cui peso era pari al 41% del patrimonio gestito a fine 2016), che presentano obiettivi di rendimento più elevati (a fronte del maggior rischio assunto). I fondi flessibili presentano da un lato costi di gestione in linea con la media di settore, ma commissioni di ingresso molto più elevate, soprattutto quando si tratta di "fondi di fondi" o "fondi a scadenza predefinita". I prodotti più rischiosi, invece, quali i fondi azionari e alternativi, hanno costi di gestione più elevati, ma anche costi di ingresso molto più contenuti della media (soprattutto gli alternativi). I costi dei fondi di diritto italiano risultano in linea nel periodo considerato con quelli dei fondi di diritto estero collocati in Italia, utilizzando l’indicatore sintetico di costo presente nel Kiid (Key investor information document) introdotto con la disciplina Ucits, che però non include le commissioni di performance e le commissioni di ingresso e di uscita.

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