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La rivalutazione e il family buy out: un connubio legittimo e vincente

6/15/2020 | Tomaso de Simone e Richard Talon*

La possibilità della rivalutazione delle partecipazioni societarie potrebbe trovare naturale finalizzazione in un’operazione di riorganizzazione societaria, volta, per esempio, a…


Nel contesto odierno, caratterizzato da una scarsa disponibilità di liquidità per le imprese e da una ricerca di nuovi assetti societari per ripartire dopo la tempesta dovuta al Covid-19, la possibilità della rivalutazione delle partecipazioni societarie potrebbe trovare naturale finalizzazione in un’operazione di riorganizzazione societaria, volta, per esempio, a favorire il passaggio generazionale piuttosto che a prevedere l’ingresso di nuovi soci per rafforzare la struttura preesistente. In tale ambito, si inserisce l’operazione del family buy out che rappresenta una ipotesi di passaggio generazionale a “titolo oneroso”.

 

In particolare, tale operazione costituisce un utile strumento per favorire la fuoriuscita dalla gestione e dalla compagine societaria dei soci di prima generazione (genitori). Nello specifico i figli (eredi) costituiscono una NewCo, con la quale procederanno all’acquisto delle quote dei genitori nella società di famiglia. La Newco procederà all’acquisto “a debito” (per mezzo di una dilazione di pagamento), ovvero per esempio facendo ricorso all’indebitamente bancario. Come garanzia, vengono date in pegno le quote della NewCo stessa e/o della società di famiglia oggetto di buy out. Il finanziamento concesso verrà rimborsato attraverso i flussi di cassa generati della già avviata società di famiglia neo acquisita.

 

Risulta agevole comprendere come l’operazione possa avere diversi risultati, non solo procedendo con il passaggio delle quote genitori/figli, ma anche risolvendo dissidi familiari oppure dividendo la preesistente e unitaria attività familiare in diversi rami di attività gestiti ad hoc.

 

Il collegamento con la rivalutazione delle quote sussiste nel fatto che, prima di procedere alla vendita alla Newco, i soci di prima generazione procedono con la rivalutazione delle quote pagando l’11% di imposta sostitutiva sul valore periziato. Ciò consentirebbe un risparmio d’imposta rispetto all’aliquota ordinaria del 26% sulla plusvalenza (da valutare però attentamente caso per caso come spiegato in precedenza).

 

L’operazione deve però essere attentamente valutata sotto il profilo dell’abuso del diritto.

In passato tali tipi di operazioni erano state contestate dall’Agenzia delle Entrate sollevando la tematica dell’abuso del diritto, ovvero dell’ottenimento di un indebito vantaggio fiscale. In particolare, la tematica al centro delle contestazioni da parte dell’Agenzia risiedeva nella “circolarità” che si veniva a creare in talune operazioni, e nello specifico in tutti quei casi nei quali la compagine societaria della Newco di fatto ricostituiva (almeno in parte) quella della società preesistente oggetto di buy out. 

 

In taluni casi, dove di fatto non è chiaramente rinvenibile una riorganizzazione aziendale e neppure la volontà di un effettivo passaggio generazionale (ovvero non è rinvenibile una valida ragione extra fiscale), il risultato da un punto fiscale è che i soci uscenti anziché incassare direttamente i dividendi della società di famiglia (sui quali sconterebbero l’imposta sostitutiva del 26%), ricevono un corrispettivo per la vendita scontando solo l’11% di imposta di affrancamento.  Si sono quindi trasformati dei redditi di capitale (dividendi) in redditi diversi (plusvalenza da cessione della partecipazione), usufruendo della possibilità dell’affrancamento. L’Agenzia ha frequentemente messo sotto la lente di ingrandimento queste ipotesi procedendo con il recupero a tassazione della maggiore imposta nei confronti dei soci per i quali la “circolarità” dell’operazione veniva realizzata, poiché l’indebito risparmio d’imposta si era realizzato direttamente nei loro confronti.

 

Fondamentale da ricordare in questo contesto è il principio di diritto n.20 del 23 luglio 2019, emesso dall’Agenzia delle Entrate, nel quale, nell’ambito di un’operazione di merger leveraged cash out, veniva considerato indebito il vantaggio fiscale ottenuto da un socio persona fisica della società target che diveniva socio anche della società veicolo, riservandosi in quest’ultima particolari poteri gestori (potere di veto in caso di disaccordo con gli altri soci, possibilità di riacquistare il controllo della società target in presenza di particolari inefficienze). Secondo l’Agenzia, “il vantaggio fiscale conseguito si pone in contrasto con la ratio delle disposizioni normative che disciplinano la rivalutazione ai fini fiscali delle partecipazioni consistente nel favorire la circolazione delle stesse e consiste nella possibilità di incassare gli utili della società target nonostante non si ponga in essere un effettivo disinvestimento delle partecipazioni detenute”. Tuttavia, chiarisce l’Agenzia, tale vantaggio fiscale non risulterà effettivamente conseguito fintanto che non siano incassati i pagamenti da parte del socio stesso.

 

Ulteriore documento di prassi da citare è la risposta ad interpello n. 341 nel 23 agosto 2019, nella quale l’Agenzia considerava abusiva un’operazione di family buy out susseguente a una rivalutazione della quota, contestando il fatto che il medesimo risultato finale dell’intera operazione poteva essere ottenuto tramite il recesso dei soci di prima generazione dalla società di famiglia. 

 

Tuttavia ora la questione della non abusività di legittime operazione di family buy out, (ovvero, per esempio, quelle realizzate per il raggiungimento di un vero passaggio generazionale) è stata risolta a livello giurisprudenziale, con la recente Ordinanza 17 marzo 2020, n. 7359.

 

Di fatto, tale Ordinanza sancisce una volta per tutte che la cessione di una partecipazione precedentemente rivalutata non costituisce un’operazione elusiva.

 

Nello specifico, l’oggetto del contendere riguardava una complessa operazione di riorganizzazione societaria, nella quale l’Agenzia procedeva con il recupero a tassazione, nei confronti di un socio persona fisica, del vantaggio fiscale dato dalla differenza tra l’assoggettamento a tassazione dei dividendi e l’imposta sostitutiva di rivalutazione. Benché l’operazione di riorganizzazione messa in atto (che data la sua complessità non verrà qui riproposta) non si raffiguri come una classica operazione di family buy out, ciò che questa Ordinanza sancisce è di portata fondamentale anche per tali tipi di operazioni oggetto del presente scritto, in quanto si va a scardinare il principio alla base degli accertamenti posti in atto dall’Agenzia delle Entrate.

 

Infatti, secondo la Corte, spetta all’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo del contribuente che delle modalità di manipolazione ed alterazione degli schemi negoziali, considerati irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti al solo scopo di pervenire ad un indebito vantaggio fiscale (tra le altre, pronunce n. 9610/2017, 5090/2017 e 16217/2018). 

 

D’altro canto, spetta al contribuente dimostrare l’esistenza di ragioni economiche apprezzabili che giustifichino le operazioni realizzate, che possono anche consistere in esigenze di natura organizzativa ed in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda (pronunce n. 1372/2011 e 4604/2014).

 

Ad avvalorare la tesi, occorre anche ricordare la sentenza 868/2019 della Corte di Cassazione. Principio fondamentale sancito in tale pronuncia è che non è necessario, affinché un’operazione sia considerata legittima, che per effetto di un’operazione di acquisizione con indebitamente si giunga ad un diverso assetto di controllo della società target. 

 

Nel caso specifico, veniva considerata non elusiva un’operazione nella quale uno dei soci della società veicolo partecipava già con il 50% del capitale nella società target. L’oggetto del contendere era la deducibilità degli interessi passivi e degli oneri connessi al finanziamento contratto per l’acquisizione (quindi la tematica non era rivalutazione di quote seguita da cessione della partecipazione). Ma le tematiche toccate dalla Suprema Corte sono di notevole interesse anche ai nostri fini.

 

Infatti, La Suprema Corte, nel ricordare proprie precedenti decisioni (Cass. n. 19227 del 6/9/2006, n. 16097 del 20/7/2007; n. 4317 del 25/3/2003) ha rigettato il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, ed ha inoltre chiarito che l’Amministrazione può disconoscere i vantaggi tributari, solo se tale operazione è stata posta in essere senza valide ragioni economiche ed allo scopo elusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio d’imposta. La Corte ha inoltre specificato che nel contesto di operazioni straordinarie “va sempre garantita la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un differente carico fiscale”. 

 

 

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*a cura di Tomaso de Simone (Partner, Family Office and Private Client Services Studio Associato Consulenza legale e tributaria, KPMG) e Richard Talon (Manager, Family Office and Private Client Services Studio Associato Consulenza legale e tributaria, KPMG)

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