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Wealth, industria impreparata a servire i neo-affluent

9/24/2022

Entro il 2025 boom di giovani investitori benestanti. Ma la consulenza ibrida è ancora lontana. E la tecnologia un miraggio.


Entro il 2025, a livello globale, la platea dei giovani investitori benestanti (di età compresa tra i 20 e i 45 anni), con patrimoni superiori a 1 milione di dollari, sarà composta da 19,5 milioni di individui, di cui 7 solo in Europa (prima fra tutte le aree geografiche, seguita dal Nord America con 6,6 milioni di nuovi investitori).

 

A rivelarlo un nuova ricerca sul wealth management di Bain & Company che mette anche in evidenza le priorità di questa “nuova clientela": “Questo gruppo emergente che, con velocità diverse, caratterizzerà tutte le principali geografie compresa l’Italia”, spiega Daniele Funaro, Partner Bain & Company “ha priorità diverse rispetto alla maggior parte dei clienti più anziani, e per rispondere alla domanda in maniera efficace e puntuale sarà probabilmente necessario per gli operatori tradizionali collaborare con l'ecosistema in espansione dei player wealthtech. Le società di gestione patrimoniale possono integrare l’offerta con tecnologie cloud-native, anything-as-a-service”.

 

Non solo. Alcuni di questi nuovi clienti affluent, desiderano rimanere costantemente informati e prendere le proprie decisioni di investimento. I player dell’industria dovrebbero soddisfare queste preferenze, fornendo avvisi e notifiche su fattori esterni o eventi relativi al contesto in cui si muovono i propri clienti. “Piuttosto che ricercare raccomandazioni guidate dai prodotti, molti clienti di loro apprezzano una consulenza olistica, completa e personalizzata con un approccio legato ai bisogni del proprio ciclo di vita, e si aspettano un'esperienza senza soluzione di continuità attraverso più punti di contatto, funzionalità e approfondimenti digitali facili da usare, con una comunicazione digitale che riduca la documentazione cartacea” si legge nel report di Bain & Company che inoltre evidenzia il fatto che questa evoluzione del wealth management verso un’offerta di consulenza ibrida non è né facile né immediato. “Ad oggi nessun player, sia esso banca, società di intermediazione o wealthtech, ha ancora offerto un'esperienza end-to-end ideale per questo segmento emergente” spiega Funaro. “Questo è anche confermato dal punto di vista del cliente affluent catturato dal nostro osservatorio anche in Italia: il customer journey relativo agli investimenti evidenzia un NPS negativo ed inferiore alle altre famiglie di prodotti/servizi finanziari”. Insomma ormai sono numerose le ricerche che rivelano il rapido avvicinamento di un target di clientela più giovane e con richieste “tecnologiche” ben chiare. Eppure il mondo delle banche sembra muoversi lentamente.

 

I player del wealth management che, comunque, hanno dimostrato di essere più attrezzati rispetto alle banche tradizionali, dovrebbero sfruttare meglio il “leggero” vantaggio che ancora hanno. Anche perché, secondo quanto dichiarato recentemente da Giuseppe Sani, Capo del Dipartimento Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia, durante il suo intervento al Banking Summit 2022 del 22 settembre, le banche Significant e Less Significant sono ben lontane dall’investire seriamente in tecnologia: “Da prime elaborazioni su informazioni rese disponibili dalla BCE emergerebbe che solo il 5 per cento della spesa complessiva per l’IT è dedicata dalle banche Significant (SI) – quelle sotto la sua diretta supervisione – alla sostituzione dei sistemi che hanno concluso il loro ciclo di vita; in Italia questa percentuale è lievemente più bassa e pari circa al 4 per cento” ha spiegato Sani sottolineando inoltre che “occorre che le banche dispongano di adeguate risorse e competenze non solo tra il personale tecnico, ma anche presso gli organi aziendali. Su questo aspetto tuttavia le evidenze disponibili non sono rassicuranti: un’analisi condotta sulla composizione dei board delle banche Less Significant (LSI) italiane – quelle sotto la diretta supervisione della Banca d’Italia – ha evidenziato che solo una percentuale minima (tra l’1 e il 2 per cento) dei componenti ha competenze di natura informatica”.  Risultato: “solo l’11 per cento delle banche LSI nel campione indica la realizzazione di iniziative fintech tra gli interventi di rilancio della redditività: è necessario aumentare la consapevolezza delle potenzialità delle nuove tecnologie”. 

 

Dati alla mano è alto il timore che la trasformazione tecnologica, tante volte descritte dai vari player, sia lontana dalle aspettative dei nuovi clienti “emergenti”. E il tempo per correre ai ripari è ridotto.

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