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Consulenza finanziaria, nessuno la conosce veramente

1/28/2023

Chi la riceve non sa indicarne il costo. Chi non la riceve non ne conosce l’esistenza. L’OCF è un mistero per il 60% degli italiani. E chi investe, nel 90% dei casi, non verifica mai gli oneri (siano essi commissioni o fee di consulenza). Ecco perché il dibattito tra “club pro e anti incentivi” oggi è male impostato.


In queste prime settimane dell’anno si è riacceso il dibattito intorno all’utilità (o meno) di abolire gli incentivi ed eliminare definitivamente il cosiddetto modello “commission-based remuneration” a favore del modello “fee-based remuneration”, ovvero il modello di consulenza fee-only. Noi di Advisor abbiamo voluto subito approcciare la questione analizzando i dati per evitare di portare avanti posizioni di bandiera che spingano verso una o l’altra soluzione.


Una settimana fa ci siamo concentrati su una ricerca firmata KPMG che, tra le altre cose, analizzava i costi complessivi: a parità di investimento, dei due servizi e, dati alla mano, sembrerebbe non emergere un vero divario per il cliente finale in termini di oneri.

 

La pubblicazione di quei dati ha generato tra i nostri lettori/interlocutori diverse reazioni. Le principali reazioni del club “pro-incentivi” possono essere riassunte in tre affermazioni: “anche se i costi sono analoghi, pochi clienti sono disposti a pagare il servizio di consulenza finanziaria”, “il modello fee-only è costoso e rischierebbe di essere offerto solo a un target di clientela altamente patrimonializzata, con l’abbandono degli altri”, “prima di passare ad un modello fee-based remuneration dobbiamo lavorare sull’educazione finanziaria”. 

 

Di contro, i sostenitori del modello fee-only dichiarano che: “i costi saranno pur analoghi, ma sicuramente il servizio di consulenza indipendente è privo di conflitto di interesse”, “non è vero che i clienti saranno abbandonati perché oggi con il digitale ci sono tante soluzioni per offrire consulenza di qualità a basso costo”, “il passaggio ad un modello fee-based remuneration deve essere assolutamente accompagnato da un processo di educazione finanziaria”. 


Chi ha ragione? Se sperate di trovare la risposta nelle prossime righe abbandonate la lettura, vorrei aggiungere “dati” che credo aiutino a centrare meglio, a mio avviso, il dibattito. La terza affermazione di entrambe le fazioni è evidentemente l’unico punto di unione tra le parti ed effettivamente trova conferma nei dati. 


L’“VIII Rapporto sulle scelte di investimento delle famiglie italiane”, presentato giovedì 26 gennaio dalla CONSOB, quando si parla di consulenza finanziaria, rivela che la domanda di tale servizio si conferma contenuta poiché dichiara di ricorrervi solo il 26% degli investitori, un dato in leggero calo (-2%) rispetto al 2021. E la scelta di non avvalersi alla consulenza è motivata dalla percezione che tale servizio non sia necessario a fronte dell’investimento di piccole somme (29%) o in strumenti finanziari semplici (23%). Da qui la scelta, per il 45% del campione, di puntare sulla cosiddetta consulenza informale (ovvero parenti, amici, colleghi). 


E il costo? Il 26% afferma di considerare tale servizio troppo costoso ma, se si va avanti nell’analisi del Rapporto firmato da Consob, sorge qualche dubbio su tale affermazione che sembra fondata più su una percezione che sulla reale conoscenza dei numeri. Gli investitori, nei fatti, prestano scarsa attenzione ai costi sia al momento della scelta del consulente (lo fa solo il 4% degli intervistati) sia ai fini della valutazione della prestazione ottenuta (in media controlla tali costi solo l’8% del campione).

 

Come si può quindi utilizzare il tema costo come elemento per spingere un modello rispetto ad un altro se gli investitori mostrano tale livello di disattenzione? Certo il 57%  degli intervistati dichiara di non essere disposto a pagare per la consulenza, ma la domanda da porsi è: gli italiani sanno di cosa si parla quando si parla di “consulenza finanziaria” e “consulenti finanziari”? La risposta, dati alla mano, è “no”!


“Il ricorso contenuto alla consulenza finanziaria può riflettere un basso livello di conoscenza del servizio. In particolare, solo il 39% degli intervistati sa che la prestazione del servizio è riservata ai soggetti iscritti all’Albo unico dei consulenti finanziari; il dato è parzialmente disallineato rispetto alla conoscenza percepita della nozione di consulenza finanziaria che viene dichiarata dal 51% del campione. Solo il 15% degli investitori, inoltre, sa identificare nella modalità di retribuzione una delle caratteristiche tipiche della consulenza indipendente, che il 27% afferma di aver compreso” si legge nel Rapporto della Consob. 


Qual è quindi il vero punto di partenza per un dibattito costruttivo? Credo che sia necessario un lavoro di squadra da parte del sistema Italia (non dimentichiamo che fee-only ed ex-pf sono entrambi soggetti iscritti all’OCF, quindi passeggeri della stessa barca), arrivare al 2023 e rendersi conto che più del 60% degli italiani non sanno che il servizio di consulenza è possibile riceverlo solo da chi è iscritto all’OCF, che il 45% degli italiani preferisce chiedere a parenti e amici, che più del 90% non si preoccupa di analizzare i costi di prodotti e servizi ricevuti, che circa l’85% degli italiani non saprebbe identificare la modalità di retribuzione di un consulente, trovo sia un insuccesso per un’industria che quando raggiunge il cliente ne conquista la fiducia, ma che forse deve ora abbassare l’ascia di guerra “interna” e concentrarsi sulla necessità di lavorare con decisione sull’informazione verso “il resto del mondo”. 


Solo se un cliente potenziale è consapevole dell’esistenza di un servizio può un domani sentire il bisogno di quel servizio. Ma se oggi gli investitori non sanno che cosa sia la consulenza come possiamo discutere di costi? Mettiamo quindi da parte le prime due affermazioni dei due club pro e anti incentivi e concentriamoci esclusivamente sulla terza dichiarazione perché oggi i clienti non sono assolutamente in grado di scegliere. 

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