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Sorpresa: i portafogli standard battono la consulenza

6/19/2015 | Francesco D'Arco

Uno studio di Cerulli Associates rivela che negli ultimi 5 anni i portafogli pre - confezionati sono riusciti a generare performance superiori rispetto a quelli costruiti ad hoc per la clientela dei financial advisors


L'eccessiva personalizzazione non premia gli investitori. Molto meglio puntare sui portafogli standardizzati. È questa la sorprendente conclusione emersa dal report "Managed Accounts 2015: Battle for Discretion" realizzato da Cerulli Associates, giunto alla sua tredicesima edizione e che confronta l'andamento delle performance realizzate da un portafoglio "pre-confenzionato" con quelle ottenute grazie ad un servizio di consulenza personalizzato.

"Questi portafogli pre-confezionati gestiscono oggi quasi 900 miliardi di dollari e stanno incrementando la loro popolarità, soprattutto grazie allo sviluppo di nuovi modelli di business che hanno visto un'ampia diffusione (soprattutto negli USA) di piattaforme di asset gathering che fanno sempre maggior concorrenza alle tradizionali offerte di consulenza finanziaria" spiega Frederick Pickering, ricercatore di Cerulli Associates. In particolare, secondo quanto emerso dalla ricerca, il vantaggio che oggi offrono questi portafogli "pre-confezionati" è la costanza negli investimenti.

Gli alti e bassi dei mercati non generano nel breve periodo cambi di rotta all'interno di questi portafogli che negli ultimi 5 anni sono riusciti mediamente a generare performance superiori rispetto ai portafogli costruiti ad hoc per la clientela dai financial advisors. "Molto probabilmente i consulenti subiscono maggiormente le pressioni dei clienti che spingono per cambiamenti nell'asset allocation per evitare perdite nel breve periodo" spiega Pickering che indica come fattore a svantaggio degli advisor il poco tempo dedicato all'attività di gestione degli investimenti. "In media i consulenti trascorrono il 60% del loro tempo nella gestione della relazione con la clientela, il 18% è dedicato alle attività amministrative e solo il 17% alla gestione degli investimenti" conclude il ricercatore che giustifica così l'approccio dei consulenti troppo "quantitativo" e poco "qualitativo" quando si parla di asset allocation. 

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