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Servono “maestri” della consulenza finanziaria

10/22/2016 | Redazione Advisor

I “maestri”, per definizione, trasmettono competenze e mettono i propri allievi in condizione di poter valutare con attenzione ogni forma di investimento.


In media l’investitore italiano non ha cultura finanziaria, ha una scarsa comprensione degli andamenti e delle innovazioni dei mercati, mostra in alcuni casi rilevanti bias comportamentali (diversificazione di portafoglio e contabilità mentale), è avverso alle perdite e al rischio di ottenere rendimenti inferiori alle aspettative, ha una scarsa comprensione del processo decisionale, ma mostra un rinnovato interesse nei mercati finanziari, anche se rimane orientato verso i prodotti liquidi. È questo l’identikit che emerge dal “Rapporto sulle scelte di investimento delle famiglie italiane per il 2016” realizzato dalla Consob e curato da Nadia Linciano, Monica Gentile e Paola Soccorso. In particolare l’indagine, presentata nel mese di settembre, conferma che le famiglie italiane continuano ad avere un livello ancora molto basso di conoscenze finanziarie, sia quando si parla delle principali caratteristiche dei prodotti finanziari (interessi e prezzi delle obbligazioni sono, ad esempio, concetti chiari solo all’11% degli italiani), sia quando si affrontano concetti finanziari base come l’inflazione e il rischio-rendimento, il cui significato corretto è noto a circa il 44% delle famiglie.
Una carenza che purtroppo sembra interessare diverse generazioni come conferma, invece, il paper “La financial literacy in PISA 2012: un’analisi dei risultati e il ruolo delle famiglie italiane” realizzato dalla Banca d’Italia e curato da Pasqualino Montanaro e Angela Romagnoli. Il lavoro, che analizza l’indagine Programme for International Student Assessment, promossa ogni tre anni a livello internazionale per misurare le competenze degli studenti quindicenni nei diversi paesi, mostra per l’Italia un quadro negativo con un ritardo medio in financial literacy di circa il 7% rispetto alla media OCSE. In particolare gli studenti italiani (con un punteggio di 466 su una media di 500) sono risultati i meno preparati in financial literacy tra i coetanei dei paesi o economie OCSE partecipanti alla rilevazione, risultando più bravi solamente dei colombiani: in Italia il 22% degli studenti, a fronte del 15% della media OCSE, ha riportato un punteggio inferiore a 400, ossia è risultato capace, nella migliore delle ipotesi, di distinguere tra bisogni e desideri e di prendere decisioni di base solo in situazioni quotidiane già sperimentate. La quota dei “top performers”, coloro che sono riusciti a ottenere oltre 625 punti, è scarsa nel Bel Paese: pari al 2,1%, ben al di sotto della media dei 13 paesi OCSE che hanno partecipato alla rilevazione (9,7%). 
Uno scenario poco roseo che, se torniamo a guardare alla popolazione adulta, si ripercuote inevitabilmente nel processo decisionale delle famiglie italiane: il 39% degli investitori mostra una scarsa comprensione delle dinamiche che portano alla scelta di un investimento, al punto che solo uno su quattro valuta l’orizzonte temporale di investimento e ancora meno sono quelli che considerano obiettivi (18%), rischio (15%) o aspettative di rendimento (14%) degli investimenti. Ma, probabilmente, il dato più disarmante è quello relativo alla conoscenza di importanti concetti quali la diversificazione: solo il 6% degli intervistati comprende correttamente una tale nozione. Carenze finanziarie e comportamentali che portano più di un terzo degli investitori italiani ad affidarsi principalmente ai suggerimenti di familiari e amici (38%), un altro 24% di famiglie si muove in totale autonomia e solo il 28% afferma di decidere dopo aver consultato un esperto, mentre un 10% delega la decisione ad un esperto. Un dominio della consulenza finanziaria cosiddetta informale (ovvero basata sulle raccomandazioni di amici/colleghi/parenti) che è frutto di una bassa disponibilità a pagare per il servizio, una difficoltà nella valutazione del servizio ricevuto, una bassa consapevolezza dell’importanza dello scambio informativo con il consulente e, appunto, una bassa cultura finanziaria: il rapporto presentato da Consob conferma che è molto alta la correlazione tra conoscenze finanziarie e domanda di consulenza.
È evidente che per un professionista della consulenza finanziaria diventa difficile svolgere la propria attività di fronte a investitori che, guidati da una carenza culturale, si mostrano diffidenti e poco propensi a seguire le raccomandazioni. Questo comporta per le reti un investimento rilevante in tema di formazione professionale, una formazione che deve mettere i consulenti non solo in condizione di cogliere al meglio le esigenze dei propri clienti, ma anche di guidarli come “maestri” che, per definizione, trasmettono competenze e mettono i propri allievi in condizione di poter valutare con attenzione ogni forma di investimento. Una mission importante e necessaria perché un’adeguata alfabetizzazione finanziaria è importante non solo per i singoli, ma anche per l’economia nel suo complesso: competenze più elevate favoriscono, infatti, una migliore allocazione delle risorse disponibili e avvantaggiano gli operatori più efficienti e innovativi.

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