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Famiglie in fuga da risparmio e investimenti

10/26/2019

La parola d'ordine dei clienti di consulenti e private banker è "liquidità". Ma tutti gli attori si preparano a offrire strumenti "alternativi" e "illiquidi". Siamo sicuri che domanda e offerta riusciranno a incontrarsi?


A volte non basta guardare i numeri di un anno per avere un’idea di un trend. Serve uno sguardo di lungo periodo. Serve l’analisi di almeno un decennio. Una fotografia del genere arriva dal Secondo Rapporto AIPB-CENSIS - Gli italiani e la Ricchezza, presentato a Roma martedì 22 ottobre e che offre fin dal primo capitolo una fotografia del portafoglio delle famiglie nel periodo 2008-2018.

 

“Sono passati più di 10 anni dalla grande crisi economica e gli effetti di stagioni economiche a crescita zero, a investimenti ridotti, a PIL di segno negativo sono ancora evidenti. Infatti”, continuano gli esperti di AIPB e CENSIS, “nel 2018 la ricchezza finanziari delle famiglie italiane è di 4.218 miliardi di euro, un dato che segna, in termini reali, una variazione percentuale negativa del -0,4% rispetto al 2018”. 

 

Insomma, 10 anni (o almeno questi 10 anni), non sono stati sufficienti per tornare ai livelli di ricchezza precrisi. Soprattutto a causa dell’ultimo anno che ha pesato molto su tante voci del portafoglio delle famiglie italiane.

 

Come evidenziato, infatti, dal Secondo Rapporto AIPB-CENSIS gli italiani hanno virato in maniera sempre più importante verso la liquidità. Insomma ci lasciamo alle spalle un decennio che ha reso tutti più timorosi: nel 2018 è cresciuta la quota complessiva di biglietti, monete e depositi nelle mani delle famiglie (ammonta a 1.390 miliardi di euro, il 33,0% del totale del portafoglio, +13,7% dal 2008 e +0,9% rispetto al 2017); sono cresciute le riserve assicurative, oggi pari al 23,7% del portafoglio per un valore complessivo di circa 1 miliardo di euro (+44,6% dal 2008, -0,6% dal 2017); in particolare è cresciuta la quota di riserve assicurative per la vita e per i fondi pensione (+49,4% dal 2008; -0,3% rispetto al 2017); ed è cresciuta notevolmente la quota in fondi comuni che hanno raggiunto i 486 milioni (+89,5% dal 2008, ma -8,3% dal 2017).

 

La vera fuga, nel decennio, si è registrata sui titoli obbligazionari che si sono ridotti di quasi un terzo: essi rappresentano il 6,9% del portafoglio finanziario delle famiglie, mentre erano circa il 21,0% nel 2008; quasi azzerati i titoli a breve termine (-98,8% dal 2008), significativa la riduzione della quota di azioni e di altre partecipazioni (-12,4%). 

 

Insomma “Il cash resta la forma di risparmio oggi più amata dagli italiani, perché risponde al bisogno profondo di sicurezza e non ci sono destinazioni alternative considerate altrettanto importanti e da valorizzare. È una trappola sociale, quella della liquidità: voglio cash contro l’insicurezza e il resto viene dopo” si legge nel rapporto firmato AIPB-CENSIS che si spinge oltre e, già nel sottotitolo, offre una via alternativa ai tradizionali investimenti mostrando uno sguardo attento a clienti e Paese: “affidarsi al futuro, ripartire dalle infrastrutture”, si legge sulla copertina del documento. 


Una sfida non di poco conto perché chiede alle famiglie un orizzonte temporale di più lungo termine rispetto ai ritorni in tempi più brevi. E, soprattutto, chiede di sposare la logica dell’investimento “illiquido” (o poco liquido). Una sfida impossibile? Sì, se l’industria non riuscirà ad individuare il target corretto al quale indirizzare questi strumenti. Al di là delle normative (penso alle regole imposte dalla MiFID I e II, ndr) e degli obiettivi di business (che portano a volte a cavalcare le mode costruendo strumenti accessibili, economicamente, ad un’ampio spettro di individui, ndr.), oggi è fondamentale riuscire a costruire prodotti che siano in grado di unire “investitori” e “investimenti” sempre più simili tra loro. Soprattutto da un punto di vista di esigenze. Forse è il momento di individuare un nuovo concetto di personalizzazione. Ma conviene farlo in fretta perché, intanto, le grandi famiglie dirottano i propri investimenti verso ciò che non rende ma che garantisce loro una “fuga” in tempi rapidi, come confermano i +4,9 miliardi di euro raccolti dai fondi monetari tra gennaio e settembre 2019 e i -5 miliardi di deflussi dei fondi di lungo termine registrati nello stesso arco temporale (fonte: Assogestioni).

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