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MiFID II: Moneyfarm alza il velo sui costi "nascosti" ai clienti retail

1/5/2018

La direttiva potrebbe impattare sui ricavi dei maggiori player domestici non indipendenti. Previsti maggiori oneri per far fronte al flusso in entrata di spiegazioni richieste ai financial advisor


Anche se pubblicamente in pochi lo hanno ammesso lo scorso anno, la principale sfida posta dalla MiFID II ai distributori retail di prodotti di risparmio gestito sarà nei prossimi mesi quella dei costi.  È noto che i prodotti di risparmio (fondi comuni, gestioni individuali e polizze a contenuto finanziario) possono risultare complessi nella loro composizione e presentare strutture di costo a volte opache. La direttiva, operativa dal 3 gennaio, però entra nel merito della questione imponendo agli intermediari di esplicitare tutti i costi anche in valore assoluto e non solo in termini percentuali: la maggior parte delle ricerche ha dimostrato, infatti, che gli investitori al dettaglio comprendono più facilmente valori monetari (in euro) che percentuali, senza contare che piccole differenze dei costi espressi in percentuale possono tradursi in grandi differenze in termini assoluti.

I costi, inoltre, dovranno essere comunicati in modo esplicito e distinti in tutte le loro varie voci: costi del servizio, costi associati al prodotto e commissioni di retrocessione (inducements). In merito Moneyfarm ha realizzato una guida completa ai cambiamenti introdotti dalla nuova normativa. Lo studio parte dalla richiesta di maggiore trasparenza nella comunicazione alla clientela, che dovrà riguardare tutte le fasi del rapporto tra intermediario e investitore. Per questo la nuova normativa prevede vari livelli di obblighi informativi più stringenti. La MiFID II distingue a tal proposito tre diversi tipi di informative. Eccole:

1) Informativa ex-ante: comunica tutti i costi secondo i nuovi standard prima di accedere al servizio. In questa informativa sarà anche necessario indicare in modo dettagliato tutti gli aspetti relativi all’ampiezza dell’offerta e alla frequenza con cui l’intermediario opererà valutazioni di adeguatezza dei prodotti. Vi si specificherà, inoltre, se la consulenza viene effettuata su base indipendente o meno. L’investitore dovrà disporre di un quadro chiaro circa le sedi di esecuzione degli ordini, le strategie di investimento consigliate, il perimetro di azione dell’intermediario e dei servizi offerti, oltre a informazioni specifiche sui prodotti proposti.

2) Informativa una tantum: viene inviata a discrezione e su richiesta specifica del cliente.

3) Informativa ex-post: ha una cadenza almeno annuale, con il dettaglio dei costi sostenuti relativamente ai singoli prodotti e al portafoglio complessivo. Su richiesta del cliente il gestore dovrà quindi mostrare anche in forma analitica l’incidenza del costo sostenuto sul rendimento effettivo.

COSTI DI RICERCA
Un’altra novità è quella che obbliga gli intermediari a inviare almeno trimestralmente comunicazioni, che includano il dettaglio degli strumenti su cui effettuano l’investimento, e a fornire segnalazioni ad hoc in caso di scarsa liquidità di un titolo, oltre a informazioni specifiche sulle soglie di perdita (come da indicazioni dell’Esma) e sull’eventuale effetto leva. È richiesto inoltre che i costi di ricerca vengano scorporati dal costo di esecuzione delle transazioni: potranno essere addebitati solo qualora sia definito in anticipo un budget. Fino a oggi venivano indirettamente inclusi nel costo di gestione: d’ora in poi sarà invece necessario dichiarare in anticipo chi dovrà farsi carico di queste spese.



GLI SWITCH
I costi di negoziazione (il cosiddetto switch) saranno da giustificare con una valutazione costi/benefici per il cliente: corrispondono alla vendita di uno strumento e al contestuale acquisto di un altro e non soltanto il passaggio da un comparto a un altro dello stesso prodotto. Per giustificare lo switch, il distributore dovrà dimostrare che i benefici del cambiamento sono superiori ai costi associati, anche attraverso la comparazione con prodotti equivalenti.

Quindi, cosa cambierà esattamente per i distributori? Secondo gli esperti di Moneyfarm, l’obbligo di indicare tutti i costi associati allo strumento e al servizio "potrebbe impattare sui ricavi dei maggiori player domestici non indipendenti e determinare un aumento dei costi da sostenere per far fronte alle crescenti richieste di dati per finalità di reporting ex-ante, ex-post e su richiesta del cliente". Per fronteggiare il probabile flusso in entrata di spiegazioni richieste al personale a diretto contatto con la clientela, potrebbero essere previsti costi ulteriori.

"È quindi probabile che i consulenti indipendenti e non si troveranno nella condizione di giustificare i maggiori costi addebitati ai loro clienti e dovranno quindi cercare di sfruttare a proprio favore la frequente attività di reporting e la ricerca interna. Saranno plausibilmente previsti report su base trimestrale per un target di clientela medio/alto, mentre ci aspettiamo modifiche di scarso rilievo per la tipologia di investitore con un profilo patrimoniale più basso” si legge nel report di Moneyfarm.

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COSA CAMBIA PER I CLIENTI
Quali saranno, invece, i cambiamenti per i clienti? Per rendere l’idea di quale potrebbe essere lo scenario per la clientela retail, Moneyfarm ha ipotizzato due esempi (vedi sopra), uno riguardante l’investimento in un singolo strumento (con un importo iniziale di 6.016,6 euro) e l’altro riguardante un portafoglio di differenti strumenti finanziari (in questo caso con un importo complessivo iniziale di 50.296,8 euro).

"La norma prova a porre fine alla particolarità che da sempre caratterizza l’industria del risparmio gestito, anche e soprattutto in Italia. Quest’industria, infatti, è rimasta tra le poche in cui i fornitori di servizi possono celare dietro strutture commissionali complesse e articolate i costi che addebitano ai clienti” spiega Paolo Galvani (nella foto), presidente di Moneyfarm. "Finalmente i risparmiatori sapranno quanto stanno pagando e per cosa esattamente. Soprattutto sarà loro chiara la differenza tra costi di gestione e costi di distribuzione, due voci da sempre indebitamente accorpate che hanno ampiamente facilitato dinamiche di conflitto di interesse” conclude Galvani.

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