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Il private banker? Deve essere un (bravo) regista

5/9/2016 | PierEmilio Gadda

Intervista a Stefano Caselli, pro-rettore agli affari internazionali dell'Università Bocconi di Milano (*)


Un doppio cordone ombelicale. Con questa immagine, Stefano Caselli, pro-rettore agli affari internazionali dell'Università Bocconi di Milano, descrive il legame promiscuo che mette in comunicazione l'imprenditore con la sua famiglia da un lato e l'azienda dall'altro. Due mondi che convivono, interagiscono di continuo. “E spesso si confondono, pericolosamente: uno degli errori più frequenti che gli imprenditori compiono è quello di piegare l'azienda a scelte legate a problemi di famiglia. Questo è un rischio sempre presente e, con l'aiuto di un bravo consulente, deve essere evitato", osserva Caselli. Come? Con un supporto adeguato di strumenti e competenze: "Il banker deve imparare a gestire una realtà complessa, fatta di soggetti che interloquiscono tra loro e si scambiano flussi finanziari. Ma devono sempre rimanere entità separate”.

 

D. Quale ruolo spetta alla private bank nella gestione di questi flussi?

R. All'imprenditore spesso manca un punto di riferimento capace di ricomporre le diverse anime della vita famigliare e professionale, in un quadro d'insieme: il suo consulente aziendale interpreta le esigenze della sfera corporate. Il financial advisor si occupa del portafoglio finanziario. Il commercialista gode n genere di una visione più ampia ma non dispone di strumenti adeguati. Il rischio è che nessuno si faccia carico di gestire le diverse componenti nella loro globalità. Questo fondamentale ruolo di coordinamento, da regista, spetta al private banker.

 

D. Quali competenze sono imprescindibili per svolgere al meglio questo compito?

R. I banker devono possedere un robusto bagaglio di conoscenze in tema di corporate advisory, per essere in grado di interfacciarsi con i consulenti aziendali del cliente. Devono avere dimestichezza con le tematiche fiscali, le problematiche legate al passaggio generazionale, senza dimenticare il real estate. Altrimenti rischiano di essere tagliati fuori dal mercato.

 

D. Per essere competitivo, il private banking non può esaurirsi nel campo della gestione degli asset finanziari. Molti operatori stanno ristrutturando l'offerta, integrandola con servizi di consulenza legale, fiscale, immobiliare, passando per l'art advisory, la protezione del patrimonio e la filantropia. Due sono le strade percorribili: dotarsi di risorse interne o stringere accordi di partnership con soggetti terzi. Qual è la soluzione più efficace?

R. La maggior parte delle competenze deve essere costruita in casa. Lo specialista esterno può essere coinvolto per esigenze particolari ma tutto ciò che riguarda i temi di tax planning e pianificazione successoria, per esempio, non può essere delegato all'esterno.

 

D. Il trasferimento della ricchezza agli eredi è forse il momento più delicato nella storia di ogni patrimonio di famiglia, soprattutto se il cliente fa l'imprenditore. Qual è il segreto per gestire il passaggio generazionale in modo efficace ed equilibrato?

R. Pianificare per tempo. Se non c'è chiarezza nel trasferimento di risorse e responsabilità agli eredi, tutta la gestione del patrimonio familiare e aziendale rischia di essere compromessa. Le banche private devono essere in grado di offrire una consulenza professionale anche su questi temi, tenendo presente che spesso l'imprenditore affronta la questione con enormi difficoltà dal punto di vista psicologico ed emotivo. Il segreto è aiutarlo a spersonalizzare il tema della famiglia. Se l'impresa si dota per tempo di una governance evoluta e, per esempio, accoglie membri indipendenti all'interno del consiglio, il passaggio generazionale può essere pianificato in modo molto più sereno e lucido.

(*) Estratto dell'intervista pubblicata su AdvisorPrivate N2 di marzo-giugno 2016

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