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Il Vino fa bene al cliente private

6/13/2016 | Fabrizio Guidoni

Quello di altissima qualità è un asset class che rende e forse merita di trovare spazio nei portafogli (*)


In vino veritas, certo. Ma soprattutto, in vino rendimento. Gli antichi latini pur già sapendo godere del piacere di un’ottima bottiglia non avevano ancora, probabilmente, la consapevolezza che la stessa si poteva rivelare un investimento profittevole nel lungo periodo. Oggi, invece, non ci sono giustificazioni per non saperlo. Che sia un Sassicaia o un Bordeaux, il vino, quello di altissima qualità, è un’asset class che rende e che si candida come un investimento alternativo per i portafogli più prestigiosi. E gli esperti concordano nell’essere ottimisti per il futuro. I numeri parlano chiaro.

 

Secondo le performance delle undici asset class che compongono il Knight Frank Investment Index, uno degli indici più usati per monitorare l’andamento del valore di beni di lusso, il vino è la seconda migliore voce come rendimento a dieci anni, dietro solo alle supercar. Anche nel 2015 il nettare degli dei ha fornito risultati tutto sommato soddisfacenti. In un contesto di rendimenti estremamente bassi per gli asset finanziari, ha regalato alle cantine più esigenti un gustoso +5% in un anno, come evidenziato dall’andamento dell’indice Knight Frank Fine Wine Icons Index. Un “buon anno” per dirla con le parole degli analisti della società. “Molti dei vini Bordeaux dal rating investment-grade hanno incominciato a recuperare dallo scivolone causato dalla domanda cinese” sottolinea Nick Martin di Wine Owners, che gestisce l’indice.

 

Attenzione però. Non tutti gli anni si sono rivelati vincenti per un investimento in vino. Le variabili in gioco che possono influenzare domanda e offerta sono diverse e le quotazioni mostrano una certa volatilità. Negli ultimi cinque anni non sono mancati segni rossi, che non hanno niente a che fare con le tinte che caratterizzano gran parte di questa asset class. Lo si vede ancora meglio dall’andamento di un altro indice di riferimento importante per questo bene di lusso, il Liv-Ex 100. Fa parte della famiglia degli indici Liv-Ex, uno dei benchmark per gli investimenti in “fine wines” costruito come misura dell’andamento economico del top della qualità mondiale. Tra le sue declinazioni più importanti ci sono ad esempio il Liv-Ex 50, che considera solo i Bordeaux con i prezzi più alti, e il più ampio Liv-Ex 100, che tiene conto tra l’altro del volume di produzione e del valore di un vino. Anche questo è composto soprattutto da vini di Bordeaux, ma ci sono rappresentanti di altri Paesi, inclusa l’Italia, come alcune annate di Sassicaia e di Tignanello.

 

Ebbene, cosa ci rivela l’andamento di questo indice? Il 2015 è risultato l’anno meno volatile, inteso come deviazione standard dei prezzi mensili e come massima ampiezza di oscillazione del valore tra massimo e minimo, nella ultra decennale sua storia. Non solo. È stato anche l’anno con la performance migliore dopo quattro anni precedenti non certo entusiasmanti. E questo grazie a un dicembre da +0,6 per cento. Il nuovo anno potrebbe dare soddisfazioni maggiori. Tra i vari driver, la domanda di vino pregiato come bene di investimento oltre che per il piacere emozionale del compratore potrebbe essere sostenuta anche dai primi segnali di risveglio di inflazione in giro per il mondo. Il valore del nettare degli dei, essendo anche un asset fisico non viene eroso di solito dal rialzo del costo della vita.

 

Se la performance assoluta del vino non è stata comunque stellare nel 2015, in termini relativi è risultata spettacolare rispetto ad altri classici asset. Prendendo come confronto i 22 asset fisici che compongono il Commodity Index di Bloomberg, si osserva che solo il cotone lo ha agguantato durante lo scorso anno, con l’indice che ha perso il 25% su base annua. L’oro, tanto per parlare di una commodity “preziosa”, ha accusato una perdita di valore del 12% su base annua. Quello che è importante comprendere è che si può investire nel vino comprando le etichette più prestigiose ma si può investire anche comprando azioni dei produttori quotati nel mondo. [...]

 

STORIE DI SUCCESSO: L’ORNELLAIA Se gli indici di settore dell’asset class vino possono mostrare qualche incertezza all’interno di un trend a dieci anno positivo, di certo esistono diversi singoli casi che hanno regalato rendimenti stellari. Un esempio è l’Ornellaia, uno dei marchi più nobili del vino italiano. Le performance dicono tutto: ha continuato a rendere di più di oro e indici azionari, presentando una volatilità, misurato come standard deviation, dal 2007 ad oggi dell’11% e un indice di Sharpe pari a 0,49. La crescita media del valore di Ornellaia in 10 anni è del +160% più alta di quella degli indici di settore come First Growths e del Liv-Ex 100. Una dinamica di fondo confermata anche da Mediobanca. Infatti gli analisti della casa d’affari hanno presentato a Milano presso Sotheby’s, in occasione di un’asta di bottiglie Ornellaia firmate Yutaka Sone, i dati più importanti emersi da una ricerca commissionata proprio da Ornellaia a Censis, Mediobanca e Liv-Ex sugli investimenti nel settore vitivinicolo.

 

Le conclusioni? Si può investire nel vino, in maniera molto redditizia, comprando le etichette più pregiate e proprio i dati Liv-ex dimostrano come Ornellaia continui a performare meglio dell’oro e delle Borse. Secondo Mediobanca a livello mondiale, un euro investito in vino nel lontano 2001 è cresciuto a 5,4 euro a inizio 2016. Lo stesso investimento su tutte le borse mondiali avrebbe fruttato un capitale finale di 1,6 euro. E attenzione. Dai minimi di fine 2008, il medesimo euro allocato in un portafoglio di titoli vinicoli sarebbe cresciuto fino a 3,4 euro rispetto ai 2,5 euro che avrebbe reso se investito sui mercati azionari mondiali.

 (*) Estratto dell'articolo pubblicato su AdvisorPrivate, numero 2, di marzo-giugno 2016

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