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Private Academy - C'è banca e banca

6/20/2016 | Fabrizio Crespi (*)

Dal CET1 al Texas Ratio, gli indicatori da monitorare per misurare la solidità degli istituti di credito


Come qualsiasi altra tipologia di impresa, anche le banche devono possedere un ammontare di capitale adeguato ad affrontare i potenziali rischi derivanti dallo svolgimento della propria attività. Come noto, infatti, il capitale serve per coprire eventuali perdite che dovessero verificarsi nel corso del tempo; e se le perdite sono ingenti si deve ricorrere ad un aumento di capitale o alla liquidazione della società. Per le banche, in particolare, vi sono regole molto specifiche in tema di adeguatezza del capitale, che sono state via via rese più stringenti dalle revisioni apportate agli originali Accordi di Basilea introdotti nel 1988. Attualmente, le banche italiane devono rispettare le regole previste dalla CRR e dalla CRDIV (Capital requirements regulation and Capital requirements Directive) che hanno introdotto nell’Unione Europea il cosiddetto Basilea III.

 

Si tratta di una regolamentazione molto complessa, che può essere sintetizzata come segue. Innanzitutto, il capitale preso a riferimento nel caso delle banche non corrisponde al semplice capitale sociale delle normali società per azioni; piuttosto, si tratta di un aggregato di voci contabili che comprendono sia il capitale sociale in senso stretto (le azioni sottoscritte dai soci) sia altri strumenti patrimoniali più o meno vicini per caratteristiche tecniche al concetto di azioni (ad esempio obbligazioni subordinate).

 

In particolare, l’ammontare dei Fondi patrimoniali totali di una banca, così come descritti nella parte F della Nota Integrativa di bilancio, è dato dalla somma dei seguenti aggregati:

Capitale di classe 1 o Tier 1 (T1), a sua volta costituito da:

  • Capitale primario di classe 1 (Common equity Tier 1 - CET1)
  • Capitale aggiuntivo di classe 1 (Additional Tier 1 - AT1)
  • Capitale di classe 2 o Tier 2 (T2)

 

Il CET1 è sicuramente l’elemento più importante, in quanto rappresentativo del vero e proprio capitale utilizzabile come primo argine alle perdite. Tra gli strumenti addizionali di classe 1 (AT1) possono invece annoverarsi, ad esempio, obbligazioni irredimibili (perpetuals) convertibili in azioni in caso di difficoltà finanziarie della banca. Nel Tier 2, invece, sono per lo più presenti obbligazioni subordinate aventi specifiche caratteristiche. L’ammontare di Fondi propri che una banca deve sempre possedere dipende dal rischio che essa corre; maggiore il rischio, maggiore il capitale necessario per operare. Il rischio viene misurato con modelli e metodologie molto complessi che, in definitiva, portano alla determinazione dell’ammontare delle cosiddette attività ponderate per il rischio (risk weighted assets).

 

Se si vuole avere un’idea di quanto siano elevate le attività a rischio di una banca basta guardare, anche in questo caso, la parte F della nota integrativa, dove tali attività vengono descritte in specifici prospetti e distinte in attività ponderare per il rischio di credito, per il rischio di mercato e per il rischio operativo. La normativa in essere prevede che il rapporto minimo tra il CET1 e i risk weighted assets, e quello tra Fondi propri e risk weighted assets, ammonti rispettivamente all’8% e al 10,5% per le banche caratterizzate da rischio sistemico, cioè quelle vigilate direttamente dalla BCE.

 

In realtà, però, la BCE può chiedere ad ogni singola banca vigilata di mantenere livelli di patrimonializzazione maggiori. Ora si tenga sempre presente che i rapporti sopra citati, ed in particolare l’ormai famoso CET1 ratio, non sono assodati e immutabili nel tempo, ma dipendono dall’ammontare di capitale detenuto (numeratore) e, soprattutto, dalle attività a rischio (denominatore). E’ facile allora comprendere che un aumento improvviso dei rischi diminuisce tali rapporti, e richiede di conseguenza un aumento dei fondi propri (tramite emissione di nuovo capitale o di strumenti comunque assimilati); e tale situazione sarà più o meno probabile a seconda del modello di business adottato dalla banca, potendosi prevedere che gli istituti operanti prevalentemente nell’area private banking/gestione del risparmio siano meno soggetti a sbalzi inattesi nell’ammontare dei risk weighted assets. [...]

 

(*) Università di Cagliari e Università Cattolica del Sacro Cuore.

Estratto del contributo pubblicato su AdivsorPrivate N2 di marzo - giugno 2016

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