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Wealth management, una sfida multigenerazionale

1/2/2019 | Francesco D'Arco

Il mondo del private banking dovrà affrontare gli ostacoli di un passaggio di ricchezza sempre più imminente ma non ancora gestito. Serve l’aiuto di tutti gli stakeholder.


Nei prossimi 25 anni oltre 68 trilioni di dollari di ricchezza saranno trasferiti a eredi o donati in beneficenza. Un’azione che coinvolgerà 45 milioni di famiglie statunitensi. A rivelarlo l’ultimo rapporto firmato Cerulli Associates dal titolo “U.S. High-Net-Worth and Ultra-High-Net-Worth Markets 2018: Shifting Demographics of Private Wealth”.


Assisteremo ad un “cambiamento multigenerazionale che ridisegnerà il panorama della gestione della ricchezza nel prossimo quarto di secolo e costringerà molte società a modificare gli attuali modelli di business e di servizio”, ha spiegato Asher Cheses, analista di Cerulli Associates ricordando che i principali beneficiari di tale cambiamento saranno i cosiddetti “Gen-Xers” che erediteranno la ricchezza dei genitori.


Ma come saranno trasferiti i 68 trilioni di dollari stimati da Cerulli Associates? Secondo la ricerca potranno essere trasmessi in quattro metodi differenti: donazioni agli eredi “inter vivos” (quando sono ancora in vita); come eredità “post-mortem”; in beneficenza inter vivos o post-mortem.


In termini percentuali, secondo il report, il 93% della ricchezza sarà trasferita dagli attuali detentori ai nuovi “paperoni” solo post-mortem. Il dominio indiscusso dei Baby Boomers sarà quindi messo in discussione da queste evoluzioni che porteranno, in 25 anni, la Generazione X (e in parte i Millennials) a guadagnare ruoli e patrimoni sempre più rilevanti.


In questo contesto le banche private devono agire costruendo relazioni con tutte le generazioni cercando di adattare i propri modelli di business e i servizi offerti alle nuove aspettative e alle preferenze delle generazioni future. È il momento di proporre una pianificazione patrimoniale multigenerazionale, spiega il report firmato Cerulli Associates che invita le società a “sviluppare una strategia di pianificazione in grado, non solo, di soddisfare le esigenze in evoluzione dei Baby Boomers, ma anche degli eredi”. Un’attività costosa ma indispensabile.


Questa l’inesorabile fotografia del mercato statunitense che può, con cifre differenti, ma con dinamiche analoghe, essere trasferita anche sul mercato europeo e italiano in particolare. Secondo l’indagine sulla clientela Private di AIPB il 22% degli High Net Worth Individuals (HNWI) italiani è rappresentata da imprenditori e, per questa tipologia di target, una delle materie chiave attorno a cui deve ruotare la consulenza è, appunto, quella del passaggio generazionale.


Tema molto rilevante se si pensa che il 21% dei Private ha già più di 65 anni. Non stupisce, quindi, che oltre la metà dei clienti di strutture private (52%) consideri il passaggio generazionale un problema da affrontare. Eppure la consapevolezza non si è tradotta finora in un’azione concreta verso la gestione di tale problema.


Sulla base dell’indagine “Contribuire al rilancio dello sviluppo italiano: il valore sociale del private banking” realizzata dal Censis per AIPB, per gli imprenditori, l’obiettivo principale per il patrimonio personale è la sua preservazione nel tempo per trasmetterlo a eredi o per una buona causa o a beneficio di una Onlus. Così la pensa il 36,2% degli intervistati, mentre per il 25,5% è fondamentale il mantenimento dell’attuale tenore di vita e per il 24,3% la necessità di accrescere il patrimonio sempre più. Il 14%, invece, “indica la volontà di avere risorse da investire nell’impresa” si legge nel rapporto presentato in occasione del XIV Forum AIPB.


“Nel lungo periodo, dunque, gli investimenti devono essere funzionali a consentire una trasmissione intergenerazionale, in prevalenza a propri familiari oppure come attestazione di una volontà filantropica, di generosità sociale, soluzioni che lasciano comunque in secondo piano l’impresa e le sue esigenze. L’indagine, però, ha anche consentito di entrare più nel concreto rispetto alle scelte degli imprenditori sulla sorte del proprio patrimonio complessivo e d’impresa per il dopo di loro ed è emerso che:


» il 50,4% degli imprenditori intervistati ha dichiarato di non averci ancora pensato, e il 32,2% perché è una questione che ha sempre rimandato e il 18,2% perché dichiara di non essere interessato a quel che accadrà dopo la sua morte;


» il 49,6% ci ha pensato, il 30,9% conoscendone bene le conseguenze e il 18,7% senza avere ancora una soluzione”.


Siamo di fronte ad una mancanza di attenzione che aumenta se si considera esclusivamente il patrimonio aziendale. Dati alla mano, in questo ambito, è ancora più alta la percentuale di imprenditori che, allo stato attuale, non ha fatto nulla di concreto per gestire un passaggio generazionale sul fronte aziendale: l’88,3% dichiara esplicitamente di non avere cominciato a trasferire il patrimonio aziendale ai propri eredi a fronte dell’11,7% che ha già cominciato.


Nella pianificazione e nella concreta realizzazione del passaggio generazionale dell’impresa, resistenze psicologiche e culturali si doppiano e si intrecciano, secondo il Censis, con difficoltà pratiche e oggettive, proprio per questo il passaggio generazionale, “per la sua strategicità e al tempo stesso punto di debolezza nel ciclo di vita di una impresa, può costituire uno dei punti decisivi di azione possibile del Private Banking nella sua azione di affiancamento degli imprenditori” spiegano gli esperti del Censis. “Accompagnare e supportare il passaggio generazionale nelle aziende, garantendone continuità e vincendo le resistenze, materiali e psicologiche degli imprenditori, è oggi un obiettivo decisivo per la produzione di valore sociale da parte del Private Banking”.


Un’analisi che Antonella Massari, segretario generale AIPB, ha così commentato: “Al termine della lettura del rapporto Censis diversi stimoli arrivano all’industria del Private Banking su come svolgere un ruolo attivo di sostegno alla crescita del Paese conciliandolo con l’obiettivo primario di protezione e sviluppo dei patrimoni che la clientela affida alla sua cura. Su due fronti, in particolare, sono emerse evidenze che chiariscono alcuni campi di azione, da un lato quelle provenienti dall’analisi delle motivazioni che orientano le scelte di investimento della clientela e dall’altro dalle affermazioni riguardanti i passaggi generazionali, rilevanti per la più specifica categoria dei clienti imprenditori”.


Il Private Banking deve quindi cercare di proporre alla clientela “quelle opportunità in grado di coniugare il legittimo interesse alla tutela e all’accrescimento del patrimonio con la destinazione di una parte di ricchezza alla partita dello sviluppo economico del Paese” continua Antonella Massari. “Si tratterà di accompagnare l’investitore nella definizione della quota di portafoglio destinabile, affinché la diversificazione non sia solo garantita ma anche ottimizzata, nella valutazione dell’orizzonte temporale, tipicamente più dilatato per gli investimenti in economia reale e infine nella selezione dei veicoli più adatti messi a disposizione dal mercato”.


Gli imprenditori intervistati dal Censis e da AIPB hanno, di fatto, dichiarato di finalizzare i loro investimenti alla conservazione del patrimonio per trasmetterlo agli eredi ma nella grande maggioranza dei casi non hanno risolto il problema del passaggio generazionale riguardante l’attività imprenditoriale e una buona parte afferma di non averci neanche pensato. “Questa miopia gestionale rappresenta un’evidente fragilità delle imprese italiane e pone limiti ad una crescita sostenibile, determinando potenziali costi sociali” conclude il segretario generale AIPB.


“Ecco dunque l’ambito d’azione possibile per il Private Banking che, attraverso servizi di Wealth Management, può affiancare l’imprenditore nella scelta di soluzioni che salvaguardino la continuità aziendale da un lato e il patrimonio famigliare dall’altro con benefici per la proprietà ma anche per la collettività. Fin qui si è fatto cenno ad interventi specifici del Private Banking, ma diversi sono gli stakeholder che possono favorire, con le loro azioni di governo, indirizzo e controllo, l’affermarsi del circolo virtuoso tra investimenti privati ed economia reale, e il rapporto del Censis può esserne un utile strumento di stimolo”.

 

*Questo articolo è stato originariamente pubblicato nel Golden Book 2018, il volume edito da OFC che raccoglie le opinioni più autorevoli sullo stato dell’arte dell’industria del wealth management.

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