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L’importanza delle gestione attiva in un contesto difficile

3/5/2019

Lanza (Hedge Invest Sgr): “Alla fine del ciclo e con una crisi del credito in arrivo, occorre essere cauti e cogliere le opportunità in modo opportunistico”.


“Ci troviamo in un regime di quantitative easing (QE) o di quantitative tightening (QT)? È la domanda ‘esistenziale’ che tutti gli investitori si stanno ponendo, dopo l’improvviso ‘U-turn’ del Presidente della Fed, Jerome Powell”. Per Filippo Lanza, gestore del fondo HI numen credit, Hedge Invest Sgr, “in questo momento ci troviamo in una fase caratterizzata da ‘mini cicli’. Infatti, da un lato vi è il desiderio naturale da parte delle banche centrali di rimuovere lo stimolo; dall’altro lato, ogni tentativo di normalizzazione sembra portare ad un crollo del mercato, come si è visto a dicembre e febbraio dell’anno scorso”.

“Di fronte a queste reazioni – argomenta l’economista - le banche centrali tendono a compiere delle inversioni repentine, come avvenuto per la Fed. Occorre però fare delle distinzioni tra le varie banche centrali e la loro reale capacità di invertire l’orientamento delle politiche monetarie. Vi sono infatti numerosi fattori che complicano lo scenario e che possono ridurre i margini di manovra degli istituti centrali, in particolare quelle variabili che possono spingere verso l’alto l’inflazione. I tassi risentono infatti di spinte inflazionistiche che le banche centrali difficilmente possono contrastare”.

In questa ottica “si noti, innanzitutto, che il mercato del lavoro è quasi a ‘full capacity’, con livelli di disoccupazione estremamente bassi in molte aree e in molti settori, in particolare negli Stati Uniti. Ci attendiamo dunque una maggiore pressione sul livello medio dei salari. In secondo luogo, vi è stato per anni un problema di underinvestment nel settore del petrolio e delle commodity, che ha portato ai prezzi attuali più elevati di molte materie prime. Un terzo aspetto riguarda i deficit governativi in aumento e le politiche fiscali espansionistiche legate al populismo”.

Infine, va considerato l’aumento dei dazi commerciali: “nonostante lo scenario attuale appaia più positivo da questo punto di vista, vi è comunque un effetto diretto sui prezzi e, dunque, sull’inflazione. In aggiunta, è importante sottolineare che i prezzi nel mercato obbligazionario sono mossi dal rapporto tra l’ammontare degli acquirenti e quello di venditori e non in ultima analisi dal tono ‘dovish’ o ‘hawkish’ della Fed. Il motivo per il quale i tassi dei bond governativi sono rimasti bassi negli ultimi anni è che vi è stata un’enorme espansione dei bilanci delle banche centrali, che hanno giocato un ruolo fondamentale come acquirenti, comprando Titoli di Stato in modo incondizionato, senza avere vincoli di bilancio”.

Ora, invece, “da un lato vi è un aumento dell’offerta, cioè delle emissioni da parte dei governi; dall’altro, gli acquisti netti di asset da parte delle banche centrali sono in calo. Per queste ragioni, indipendentemente dalle dichiarazioni dei banchieri, il quantitative tightening è già in corso e ha proporzioni allarmanti. Ciò è problematico per il mercato dei Titoli di Stato, che non può più fare a meno di un acquisto continuativo da parte degli istituti centrali: vi è ormai un bisogno strutturale di QE, sia per i mercati finanziari che per l’economia reale. L’area nella quale il QT sarà più duraturo e più negativo nell’impatto sui mercati è l’Europa. Nel vecchio continente si è passati da 60-70 miliardi di euro di acquisti mensili a 10 miliardi. Inoltre, la Bce ha un mandato molto più restrittivo rispetto a quello della Fed: ciò rende uno ‘U-turn’ in Europa decisamente più improbabile. Un altro aspetto da considerare è che Mario Draghi, ideatore di molte delle iniziative più innovative intraprese dalla Bce negli ultimi anni, come le OMT e le TLTRO, si sta avvicinando alla fine del mandato. È atteso un aumento della rischiosità sui titoli di stato europei anche in virtù del nuovo regime legale dell’ESM (o ‘Fondo Salva Stati’), che adesso è pienamente operativo”.

“Va infatti ricordato – continua l’esperto - che al suo interno il voto di ciascun Paese membro non vale uno, ma è pesato in base al Pil e alla popolazione. Ciò significa che Francia e Germania insieme hanno sostanzialmente un potere di veto sulla maggior parte delle decisioni. A tutto questo si sommano problematiche politiche che saranno esacerbate dalle elezioni europee in arrivo. Per questo, a nostro avviso, è altamente improbabile che la Bce decida in invertire la marcia sulla scia della Fed”.

Inoltre, “riteniamo che le aspettative del mercato sulla prossima attivazione di un nuovo consistente programma di TLTRO siano assolutamente mal riposte. Se vi sarà una nuova serie di operazioni, sarà molto più modesta, con finanziamenti a 2 anni invece che 4, tassi più costosi e condizioni più onerose sul tipo di collaterale da utilizzare. Crediamo che il ‘mini-ciclo’ attuale, iniziato in seguito all’inversione di marcia della Fed, sia già giunto al temine e che sia arrivato il momento di vendere”.

Infatti, “in questo periodo le condizioni finanziarie globali sono tornate ad essere molto di supporto: i tassi governativi si sono abbassati, l’equity è tornato sopra i valori che aveva prima del crollo di dicembre e il mercato del credito ha tenuto. Le banche centrali potrebbero quindi essere tentate di riprendere i propri sforzi di normalizzazione. Vi è un ulteriore aspetto da considerare, che avrà un forte impatto sulla prossima crisi del debito: il cambiamento di termini e condizioni dei bond europei. Per quanto riguarda le obbligazioni governative, vi sono stati vari cambiamenti, come l’introduzione delle Clausole di Azione Collettiva (CAC), che hanno reso più difficile per i governi europei intervenire a supporto dei propri bondholder, Nei bond bancari il cambiamento è ancora più radicale: le obbligazioni emesse dalle banche possono virtualmente essere trasformate in equity con una semplice decisione del regolatore o del Consiglio di Amministrazione. Infine, anche la protezione legale per i bond societari è stata decisamente diluita negli anni”.

In conclusione, “stiamo entrando in un periodo veramente turbolento. L’effetto collaterale più grave e significativo del QE è un enorme eccesso di investimenti e di capacità produttiva dovuta alla tecnologia, che storicamente genera sempre gravi crisi del credito. L’overcapacity, oltre a una deflazione strutturale, avrà un impatto negativo su settori industriali con alto indebitamento come i media, le telecomunicazioni, il retail e il farmaceutico, poiché vi saranno servizi alternativi migliori e meno costosi offerti dai giganti tecnologici. Il debito di questi settori andrà quindi sotto pressione e le banche centrali potranno fare ben poco per evitarlo. In una situazione di eccessivo indebitamento e di sovracapacità produttiva, l’unica soluzione è la ristrutturazione del debito e il default. Vediamo quindi opportunità eccezionali nel credito stressed/distressed nei prossimi due anni: torneremo a livelli simili a quelli del 2009-2010 e del 2001-2002 in Europa. Ci aspettiamo che i tentativi di normalizzazione da parte delle banche centrali e le conseguenti reazioni negative dei mercati continueranno a susseguirsi; tuttavia, più si andrà avanti più i ‘mini cicli’ saranno difficili da prevedere e da gestire, e le reazioni diventeranno molto violente”.

“In questo contesto estremamente complesso – conclude Lanza - la convenienza di una gestione attiva come quella offerta da un fondo alternativo è più che mai evidente: se nel 2009 bastava avere posizioni lunghe su tutti gli asset per ottenere ottime performance, ora, alla fine del ciclo e con una crisi del credito in arrivo, occorre essere cauti e cogliere le opportunità in modo opportunistico”.

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