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I fondi europei battono gli italiani anche nel 2020

2/5/2021 | Redazione Advisor

Il gap del nostro Paese è da attribuire alla minore componente azionaria e alle commissioni più alte. I dati del rapporto trimestrale del centro studi di Tosetti Value


Come da tre anni a questa parte i fondi europei battono quelli italiani. E’ quanto emerge da un articolo pubblicato da Il Sole 24 Ore in cui si riprende in anteprima il consueto rapporto trimestrale elaborato dal centro studi di Tosetti Value, uno dei principali Multi-Family office in Europac he passa in rassegna le performance (e anche i costi) di tutti i prodotti Ucits distribuiti in almeno un Paese europeo, classificati long-term fund, attivi e passivi (con esclusione degli Etf), gestiti dalle prime 250 società per attivi e che compie tre anni.

Come si legge nell’articolo “il 2020 condizionato dalla pandemia si è infatti chiuso con un una performance positiva pari al 3,9% per le principali 30 case di investimento per masse gestite a livello europeo, che sono riuscite quasi sul filo di lana e dopo un lungo inseguimento a battere i gestori italiani, capaci comunque di terminare l'anno con risultati positivi, anche se dimezzati (+1,9%) rispetto alle medie continentali. Il bilancio emerge dal consueto rapporto trimestrale elaborato dal centro studi di Tosetti Value, uno dei principali Multi-Family office in Europa”.

Il rally di novembre ha “permesso ai fondi europei, storicamente più sbilanciati sulla componente azionaria (vale il 43,4% degli investimenti complessivi) di colmare il divario in precedenza accumulato rispetto ai prodotti di risparmio del nostro Paese, distribuiti in modo tradizionalmente più prudente (17,7% di quota azionaria a fronte di un 33,5% investito in bond)”.

Fondamentale la spinta dei prodotti azionari. “Il dettaglio fra le singole case di investimento – si legge ancora sul quotidiano di Confindustria - conferma l'importanza della ripartizione dei portafogli e denota un'elevata dispersione fra le performance, che riflette a sua volta la diversa risposta e l'abilità dimostrata nell'affrontare le situazioni di mercato complesse succedutesi nei mesi caratterizzati dalla pandemia. Morgan Stanley rappresenta infatti il caso più eclatante, perché il +19,2% registrato in media dai suoi prodotti nel 2020 è stato realizzato grazie all'apporto rilevante di una componente azionaria, alla quale il gruppo è rimasto fedele anche nei momenti più difficili della scorsa primavera e che a fine anno si è attestata al 72,5 per cento. Il suo esempio non è però l'unico, perché sull'ideale podio europeo incontriamo anche Swedbank (+16,6%) e Handelsbanken (+14,1%), entrambe con quote riferibili a prodotti che investono in Borsa ben superiori alla mediae attorno al 6o per cento. La contrapposizione con l'Italia è in questo frangente altrettanto evidente perché i rendimenti offerti dai nostri portafogli - che in alcuni casi destinano alla componente equity appena i14,5% e lasciano sui bond fino a139%- hanno sì mostrato un grado di dispersione inferiore, ma restano però ben più modesti, con incrementi che non si spingono oltre i pochi punti percentuali e addirittura alcuni casi di performance negative su base annua il confronto è, se si vuole, ancora più impietoso se lo si estende all'ultimo triennio, cioè al periodo di rilevazione dei dati di Tosetti Value che mette insieme scenari molto differenti tra di loro: dall'andamento negativo del primo anno al 2019 'stellare' , fino all'altrettanto pirotecnico 2020”.

Per quanto riguarda il bilancio e i costi del triennio, si legge che “cento euro impiegati nel gennaio del 2018 si sarebbero in media trasformati al termine di questo lasso temporale in 104,51 euro se affidati a una società di gestione italiana, mentre nel caso si fosse scelta una delle Top 30 europee (insieme che comprende il solo Gruppo Intesa fra i nostri asset manager) il montante medio si sarebbe spinto fino a 114,36 euro. A fare la differenza, come si è visto per il 2020, sono in primo luogo le diverse strategie, che arrivano a spiegare i 138,3 euro realizzati dai clienti di Morgan Stanley, i 131,6 di Swedbank e i 128 di Handelsbanken, tanto per ricordare gli esempi già citati. Ma contano ovviamente altri fattori, a partire dalle commissioni applicate dalle singole case, che in Italia sono notoriamente più elevate. Gli oneri ricorrenti - le cosiddette ongoingcharge, ovvero le commissioni di gestione, gli oneri di banca depositaria, i costi di revisione, eventuali altri costi fissi a favore della società di gestione che Tosetti Value ricava direttamente dai bilanci dei fondi - hanno infatti pesato in Italia per 1'1,43% nel 2020, quando nel resto d'Europa si è riusciti ascendere sotto la soglia dell'l%, pur di un solo centesimo. Nell'arco triennale i costi fissi hanno sottratto fino al 6,88% a performance cumulative già meno brillanti: una zavorra che l'industria italiana del risparmio continua a trascinarsi sulle spalle e che finisce per compromette inevitabilmente anche l'efficienza dei prodotti distribuiti ai clienti”.

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