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Real estate USA, la domanda crolla ai livelli del 2008

10/26/2022 | Daniele Riosa

Enguerrand Artaz (La Financière de l’Echiquier): "I parallelismi con la grande crisi finanziaria, iniziata con una crisi economica e immobiliare, sono tanti se si osservano gli ultimi dati relativi al mercato immobiliare statunitense"


Per la prima volta, in oltre 20 anni, i tassi sui mutui trentennali negli Stati Uniti sono al 7,2%. Conseguenza diretta dei forti rialzi dei tassi da parte della banca centrale statunitense, questa impennata degli interessi sui mutui sta logicamente scatenando un crollo della domanda di prestiti, giunta di recente ai minimi dal 2015. Enguerrand Artaz, gestore di La Financière de l’Echiquier, ricorda che “in un anno, la domanda è arretrata del 40% circa, segnando la flessione più consistente dopo la crisi del 2008”. 

Per il manager “i parallelismi con la grande crisi finanziaria, iniziata con una crisi economica e immobiliare, sono tanti se si osservano gli ultimi dati relativi al mercato immobiliare statunitense. All'inizio della scorsa settimana, l'indice di fiducia degli immobiliaristi ha toccato i minimi (Covid escluso) dal 2012, con una contrazione - in un anno - maggiore rispetto a quella che ha preceduto la crisi del 2008. La percentuale di cantieri autorizzati ma non avviati ha raggiunto invece il livello più alto dalla fine del 2008. Da segnalare anche il calo delle vendite di immobili esistenti, scese di quasi il 25% su base annua. Dobbiamo tornare alla crisi del 2008, escluso il periodo del lockdown, per trovare un fenomeno simile”.

“Questo crollo improvviso e rapido della domanda di immobili - constata l’analista - si riflette in una diminuzione dei prezzi delle transazioni. Ad esempio, l'indice misurato dal garante dei mutui Freddie Mac è sceso negli ultimi tre mesi per la prima volta dal 2011, quando il mercato immobiliare statunitense si stava ancora riprendendo dagli eccessi della bolla immobiliare. Dopo le impennate dei prezzi post-Covid, sostenute dai cospicui incentivi, dalla voglia di immobili più grandi e dalla mobilità resa possibile dal telelavoro, l'effetto forbice è violento, tra prezzi probabilmente troppo alti e condizioni di finanziamento molto deteriorate dall'aumento dei tassi”.

“Questi parallelismi tra la recente traiettoria del mercato immobiliare statunitense e quella vissuta prima del 2008 - precisa l’economista - possono sembrare particolarmente preoccupanti anche se questo settore dell'economia statunitense non rappresenta più un rischio sistemico come all’epoca dei subprime. Tra i minimi del 1995 e i massimi del 2005, la domanda di credito è quasi quadruplicata ma è raddoppiata a malapena tra il 2011 e il 2021. Ciò si riflette, in parte, nell'indebitamento delle famiglie, il cui tasso di prestiti sul totale degli asset detenuti si aggira oggi intorno all'11% rispetto al 20% quasi del 2008”.

Inoltre, “non si è riprodotto il fenomeno massiccio della cartolarizzazione dei prestiti immobiliari che aveva diffuso il rischio subprime in tutto il sistema finanziario globale. Sebbene un forte deterioramento del mercato immobiliare statunitense non costituisca un rischio sistemico come nel 2008, non sarà privo di effetti per gli Stati Uniti. Il forte aumento delle rate mensili dei mutui a tasso variabile sta già impattando i bilanci delle famiglie, come in molti altri Paesi quali il Regno Unito e i Paesi Bassi. Per quanto riguarda il calo dei beni immobiliari, se da un lato sarà una buona notizia per l'andamento a lungo termine dell'inflazione nel settore immobiliare, sarà dall'altro dannoso per l'effetto ricchezza”.

“A sua volta, questa flessione potrebbe avere conseguenze negative sui consumi delle famiglie. Un tema che va tenuto sotto stretta osservazione”, conclude Artaz.

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