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Asset alternativi per fronteggiare la crisi Covid-19

4/15/2020 | Redazione Private

Gli esperti di Neuberger Berman: “Rispetto all’ultima crisi, il private equity si presenta in condizioni molto migliori”


Durante la crisi finanziaria del 2007-2009, gli hedge fund e il private equity vennero più o meno massacrati dalla stampa. Non tutte le accuse erano giustificate e nessuno di questi due segmenti aveva alcuna responsabilità di ciò che era successo. Anzi, il ruolo che ebbero nell’intera vicenda fu trascurabile. Nella crisi attuale, le strategie d’investimento alternative hanno il potenziale per fornire un contributo più che positivo. Sebbene sia vero che non tutti gli hedge fund abbiano registrato una buona performance, ve ne sono molti, tuttavia, che hanno svolto una funzione stabilizzante nella bufera attuale. E sebbene il futuro di numerose società private di piccole dimensioni si prospetti burrascoso, i general partner del private equity e del private debt sembrano apprestarsi a gettar loro un preziosissimo salvagente in termini di competenze, esperienza e capitali. David G. Kupperman, phd, co-head di Neuberger Berman alternative investment management, Jeff Majit, cfa, co-head di Neuberger Berman alternative investment management e Anthony D. Tutrone, global head of alternatives di Neuberger Berman fanno il punto sul settore e sulle sue prospettive.

Volatilità

Il mese di marzo 2020 ha sottolineato ancora una volta l’importanza vitale della diversificazione. Alcune strategie di hedge fund che prima della crisi parevano decorrelate dal rischio di mercato, una volta giunta la crisi hanno esibito un altissimo grado di correlazione. Molte strategie long-short hanno concentrato gli investimenti in alcuni titoli che guidati dal momentum si sono deprezzati del 50-60%, quando il mercato ha perso il 30%. I fondi che dipendono dal ricorso alla leva per l’esposizione a strumenti di carry, e quelli posizionati per sfruttare la compressione degli spread creditizi, sembrano aver sofferto di più di tutti. L’effetto penalizzante è risultato più pronunciato nelle strategie strutturate, focalizzate sul credito, dove l’implicito ricorso alla leva e l’intrinseca illiquidità si sono combinati esacerbando le perdite.

Eppure, nel mese di marzo diverse strategie hanno saputo preservare il capitale e generare addirittura risultati eccezionali. Numerose strategie market-neutral sembrano aver superato il mese senza variazioni di rilievo, proprio come ci si sarebbe aspettato. Le strategie global macro e i managed futures (basate sia su trend di breve, che di medio e lungo termine) hanno tratto profitto dalla flessione dei mercati e dall’aumento della volatilità. Le posizioni long sui tassi, long sul dollaro e short sul settore energetico si sono rivelate particolarmente redditizie. Le strategie relative-value sulla volatilità hanno capitalizzato sfruttando l’impennata della volatilità, sia implicita che realizzata.

Come anticipato da Erik Knutzen la settimana scorsa, è probabile che giungano molte altre cattive notizie prima di metterci alle spalle la crisi causata dal coronavirus. Per questo motivo, riteniamo che sia prudente mantenere in portafoglio strategie che hanno già contribuito a mitigare la volatilità del mercato. Con l’attenuarsi della volatilità e delle vendite forzate causate dalla necessità di ridurre la leva finanziaria o dalla mancanza di liquidità, riteniamo che esistano ampie opportunità, per le società d’investimento ben capitalizzate, di beneficiare dai ribassi dei prezzi nei mercati del credito strutturato e del debito distressed.

Domare gli incendi

Per certi versi, il private equity ha avuto fortuna. Si è presentato al 2020 con quantitativi record di liquidità non investita che adesso potrebbe essere usata per ricapitalizzare società del portafoglio in disperato bisogno di liquidità. Dopo numerosi anni trascorsi a prendere denaro in prestito sul mercato, queste società sono discretamente indebitate, ma poiché si tratta di un debito con pochi covenant, o addirittura senza, esse dispongono di tempo e di flessibilità, che in questo momento sono carte preziose.

Non solo: rispetto all’ultima crisi, il private equity si presenta in condizioni molto migliori e non è affatto una questione di fortuna. Quindici anni fa, molti GP si limitavano ad acquistare società di buona qualità aumentando il grado di indebitamento. Dopo il 2008, quell’approccio è stato completamente abbandonato. Al contrario, in molti hanno investito nell’accumulazione di competenze specifiche a livello operativo sui singoli settori e sui mercati dei capitali. Si tratta di qualcosa che può non solo aumentare il valore del business e dei bilanci delle società, ma anche determinare la differenza tra la sopravvivenza o il fallimento in una crisi.

Riteniamo che la priorità sia preservare un’ampia liquidità per superare la crisi. Ciò significa ridurre i costi e limitare gli investimenti di capitale, come pure avvalersi di linee di credito non utilizzate e, in taluni casi, operare iniezioni di capitale. Ove necessario, sono in corso negoziati con i creditori, per ridurre gli interessi e ammortizzare i pagamenti. Esaminando la natura della crisi, riteniamo che i prestatori saranno ricettivi, ma un’azienda di solito viene favorita dal fatto che la società di private equity che la possiede abbia con essa un rapporto molto stretto. Dovendo affrontare elevate quantità di prestiti, è probabile che molti creditori creeranno gruppi generici di potenziali acquirenti, basandosi su valutazioni rapide e schematiche.

Le piccole e medie imprese sono la base su cui poggia la maggior parte delle economie, nonché il segmento più vulnerabile nella congiuntura attuale. Ed è qui che, nel tentativo di domare questi incendi, il private equity può impiegare le sue ampie risorse, contribuendo a garantire che l’economia reale esista ancora quando tutto sarà finito.

Ancora molto lavoro da fare

Una volta che avremo spento le fiamme, gli investitori alternativi potranno iniziare a risolvere i problemi. Per quanto riguarda il private equity, i fondi specializzati in turnaround e special situations potranno aiutare la ristrutturazione delle imprese e dei bilanci che hanno avuto problemi. Nella sovrapposizione tra hedge fund e private markets, le strategie di credito distressed offrono liquidità alle banche e agli investitori istituzionali che sono pronti a liberarsi di tranche di credito strutturato, o prestiti first lien a prezzi fortemente scontati. Questi fondi di norma dispongono della stabilità di capitale, degli orizzonti di investimento di lungo termine e della tolleranza al rischio necessari per continuare a detenere quelli che, sostanzialmente, saranno titoli resilienti nei mesi a venire.

Le nubi sui mercati secondari del private equity non si sono ancora diradate, ma quando ciò accadrà, siamo del parere che tali mercati forniranno ai GP un’altra fonte di capitale da riversare nelle società in portafoglio e che i Limited Partner avranno la possibilità di operare un ribilanciamento e aumentare la liquidità. Gli investitori avranno l’opportunità di scegliere fondi sia maturi che praticamente nuovi a prezzi scontati.

E, per finire, quasi sicuramente il mondo degli investimenti alternativi fornirà un sostegno di più lungo termine alle società, quotate e non, che si affannano a raccogliere capitale tramite emissioni azionarie o obbligazionarie. Numerose strategie di private debt saranno pronte a offrire finanziamenti quando le banche e i mercati pubblici del debito saranno restii a farlo, mentre i PIPE (Private Investment in Public Equity) potrebbero costituire un’importante fonte di capitali quando i mercati del debito o i mercati azionari secondari sono chiusi.

Davanti a una crisi, gli investitori alternativi hanno, di fatto, due compiti: il primo è cercare di esercitare una qualche influenza stabilizzante sui portafogli dei clienti. La seconda è di individuare gli investimenti interessanti in società di buona qualità, fornendo loro il capitale indispensabile a impedirne il fallimento. Abbiamo molto lavoro da fare

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