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Private e venture capital resilienti al Covid-19

9/7/2020 | Daniele Riosa

Anna Gervasoni (Aifi): “Dopo lo stop di marzo i deal continuano ad esserci e il mercato mostra una sua vivacità. Certo non cresce, ma è stabile”.


“Gli investimenti annunciati nei primi sette mesi del 2020, sia per quanto riguarda il private che il venture capital, sono 175 contro 189 dello stesso periodo dello scorso anno. Un dato in calo, ma non catastrofico. Dopo lo stop di marzo, i deal continuano ad esserci e il mercato mostra una sua vivacità. Certo non cresce, ma è stabile”. Così Anna Gervasoni, direttore generale di Aifi, durante il convegno annuale dell'Associazione (in collaborazione con KPMG) dal titolo “Private capital, human capital”, che si è tenuto nella sede de Il Sole 24Ore, presenta i dati dell’anno in corso condizionato dalla diffusione della pandemia da Coronavirus in Italia e dal conseguente lockdown. 

Innocenzo Cipolletta, presidente di Aifi, volge lo sguardo al futuro e spiega che “c’è la necessità che il capitale pubblico, che viene immesso ora sul mercato, non spiazzi il capitale privato. È necessaria una collaborazione forte attraverso i fondi dei fondi. Consolidare, guardare a nuovi mercati, studiare strategie differenti sono alcuni degli ingredienti che i nostri soci hanno messo in campo per affrontare in maniera responsabile e costruttiva questi mesi, con l’obiettivo di lavorare ancora di più e meglio a fianco delle proprie aziende in portafoglio”. L’ex presidente di Confindustria plaude all’introduzione dei PIR alternativi e spera “portino nuovi capitali alle nostre imprese. Auspichiamo che dei 250 miliardi di capitali previdenziali una parte rilevante possa andare agli investimenti dei fondi. Vale lo stesso per il private banking: 4mila miliardi investiti e solo in minima parte in Italia, in gran parte nei fondi internazionali”.

“L’Italia – conclude Cipolletta - resta un Paese di grande risparmio e in passato questo risparmio arrivava alle imprese attraverso il sistema bancario. Oggi non è più così ed è importante trovare il modo perché questo risparmio arrivi alle imprese in modo diverso per supportare la crescita dell’economia e delle imprese”.

Aifi e KPMG hanno presentato nel corso del convegno i risultati del Private Capital, Human Capital, una ricerca che ha voluto fotografare l’assunzione dei principi ESG da parte degli operatori di private capital nel momento in cui investono nelle aziende italiane. Il focus sulla componente umana viene rimarcato proprio in questo momento di emergenza sanitaria: le persone sono la più grande risorsa per la ripartenza. È stato analizzato un campione significativo di società in portafoglio al 31 dicembre 2019 o disinvestite nei tre anni precedenti ovvero 127 operazioni, distribuite su 125 imprese, effettuate da 28 operatori (21 domestici e 7 internazionali). I risultati mostrano come l’ingresso di un fondo in una azienda porta all’adesione di politiche ESG nel 32% dei casi (63% dei casi se si considerano le sole target oggetto di investimento da parte di operatori internazionali).

L’investitore porta una crescita del numero medio di dipendenti delle società target del private equity pari all’89% nel periodo di permanenza, con una composizione femminile del 41%. La percentuale di laureati è pari al 26% contro una media nazionale del 23%. Nell’80% dei casi sono stati inseriti piani di incentivazione per il management e nel 48% sono stati inseriti piani di welfare per i dipendenti. Nel 19% dei casi sono stati introdotti nuovi comitati a supporto del cda e nel 60% dei casi è stato introdotto un Codice Etico.

AIFI ha anche analizzato gli impatti della pandemia Covid-19 sul mercato italiano del private capital; hanno risposto 37 operatori di private equity, 19 di venture capital e 19 di private debt. I diversi operatori hanno offerto angoli, visuali e prospettive differenti data la diversa tipologia di attività, e anche per questo, la ricerca riporta dati interessanti. Partendo dalle aziende in portafoglio, il private equity ha dichiarato che nei prossimi mesi si concentrerà soprattutto su strategie di add-on (65%), cioè di acquisizione di società da parte delle target già in portafoglio, il venture capital sulla rifocalizzazione dei piani delle loro startup (63%) e il private debt sulla rinegoziazione dei covenant originari (79%).

Il 43% degli operatori di private equity intervistati, nei prossimi mesi aumenterà la reportistica verso gli investitori con aggiornamenti più frequenti e dettagliati e con un capitolo specifico dedicato alla valutazione dell’impatto Covid-19, su liquidità, financials e attese di chiusura dell’anno. I venture capitalist invece hanno dichiarato che le proprie target nelle loro attività hanno subìto un maggiore impatto legato alle vendite (89%), alla raccolta di capitale (53%) e al rapporto con i propri clienti/fornitori (26%). Infine, il 63% degli operatori di private debt, afferma che l’impatto sul rischio di default delle aziende finanziate sarà un incremento compreso tra l’1 e il 10%; solo un 5% ritiene possa essere compreso tra il 20 e il 40%.

“I numeri – conclude Cipolletta - mostrano come l’emergenza Covid-19 possa essere vista anche come una opportunità per consolidare, grazie agli add-on, le proprie target permettendo così di diventare più forti e capaci di affrontare il mercato non solo italiano ma internazionale”.

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