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Moda, è ora di investire in modo più sostenibile

9/30/2021 | Redazione Private

Rupert Welchman (UBP): “Il settore del ‘fast fashion’ offre grandi possibilità di incanalare i capitali verso un’industria più moderna”


“L’industria della moda, negli ultimi decenni, è stato considerata un esempio estremo di insostenibilità, che riflette le colpe dell'economia mondiale e mostra le attività che danneggiano l'ambiente e i settori della società”. Rupert Welchman, portfolio manager impact equities di Union Bancaire Privée (UBP), ricorda che “oggi però c’è una consapevolezza più diffusa e c'è volontà di cambiare: gli investitori hanno un ruolo chiave in questa trasformazione, guidando i capitali verso la soluzione dei problemi”.

“In questi giorni - prosegue il gestore - si parla molto dell’importante carbon footprint dell'industria dell'abbigliamento. La supply chain tradizionale di questa industria conta diverse problematiche: impoverimento delle risorse naturali, inquinamento, uso massiccio di energia, emissioni di gas serra. Per non parlare dei dati sul lavoro sottopagato e persino minorile, sull'occupazione precaria e sulle condizioni di lavoro malsane o non sicure. Nello tentativo costante di tenere alti i consumi e abbassare i prezzi, il fast fashion è stato un business affamato di risorse ma ora è tempo che il settore dell'abbigliamento ripensi non solo i suoi processi, ma l’intera filosofia e la sua ragion d'essere. Una preoccupazione chiave è ovviamente l'impatto dei materiali usati per la produzione di tessuti. La produzione del cotone, che pure è un materiale naturale, biodegradabile e riciclabile, richiede un'enorme quantità di acqua e terra. Il poliestere, la fibra sintetica più comunemente usata per fare vestiti, consuma meno acqua e genera meno rifiuti delle fibre naturali, ma non è biodegradabile e, quando viene lavato, rilascia microplastiche che finiscono nei fiumi e negli oceani e danneggiano la vita marina, danneggiando in ultima istanza l'intero ecosistema di cui anche noi facciamo parte”.

L’analista sottolinea che “nel mercato delle eco-fibre, da 37,3 miliardi di franchi svizzeri, sempre più imprenditori stanno lavorando per produrre fibre alternative come la canapa e la pasta di legno, ma anche fondi di caffè e alghe. Si stanno facendo sforzi per riciclare anche le fibre sintetiche, come il PET, per produrre articoli come borse e scarpe. C'è anche un'industria emergente legata alla produzione di coloranti naturali da microrganismi per sostituire i prodotti chimici tossici usati tradizionalmente per trattare e colorare le fibre. Affinché l'industria della moda diventi circolare, bisogna inglobare la scelta in favore di queste alternative già nella progettazione stessa degli indumenti, sin dal momento della concezione, tenendo presente l'intero ciclo di vita del prodotto, compreso il suo eventuale smaltimento. Anche lo spreco di tessuto all'inizio della produzione, che può raggiungere il 15%, può essere enormemente ridotto semplicemente ottimizzando il design e il taglio”.

“Il ruolo di primo piano del settore finanziario - prosegue il manager - si comprende proprio alla luce dell'importanza dell'innovazione tecnologica perché questo ammodernamento diventi possibile. Gli investimenti sono il link in grado di convertire iniziative sporadiche in un cambiamento strutturale. Incanalando i capitali verso le aziende innovative a impatto che cercano soluzioni nuove e impegnandosi direttamente con loro per promuovere la collaborazione attraverso l'intera supply chain, gli investitori possono sommare tutti questi sforzi e rendere possibile un cambiamento nell'industria della moda”.

“Gli investitori a impatto e i consumatori consapevoli, così come la cooperazione tra le aziende di abbigliamento, gli Stati, i legislatori, i regolatori degli standard internazionali sul lavoro, le organizzazioni non-profit, ecc., possono far sì che il settore dell'abbigliamento realizzi il proprio potenziale e diventi l'industria rispettosa della natura e della società che il mondo richiede”, conclude Welchman.

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