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Mercati, quattro ipotesi contrarian

2/7/2023

Tassi Fed e inflazione che rimarranno elevati, ripresa cinese poco solida, e dollaro che rimarrà forte sono i possibili scenari non considerati dai mercati. Il commento di Capital Group


I mercati scontano un outlook ottimista per il 2023. Roberti Lind, economista di Capital Group, ha elaborato quattro scenari contrarian secondo cui il consensus di mercato attuale, come si riflette nei prezzi degli asset, potrebbe non essere l’esito più probabile.  

 

1. La Fed manterrà i tassi elevati più a lungo

Le attuali dinamiche inflazionistiche continueranno a indurre la Fed ad alzare ulteriormente i tassi, laddove sia realmente intenzionata a non ripetere gli errori commessi negli anni Sessanta e Settanta. Ma il mercato secondo Lind non è ancora convinto che la Fed porterà i tassi oltre il 5%. “Inoltre, la view di consensus sul PIL statunitense continua a indicare una sorta di soft landing nel 2023. Riteniamo invece che l’economia USA potrebbe scivolare in una moderata recessione, con una contrazione pari circa al 2%. Esiste il rischio reale che la Fed aumenti i tassi oltre il 5%. Non prevediamo inoltre una virata da parte della Fed (con un taglio dei tassi al 3% o al 2%) a meno che la recessione non si aggravi o i mercati finanziari mostrino segni di cedimento”.  

Lind ritiene che questa ripresa potrebbe rivelarsi più solida rispetto alle ultime due recessioni. “Gli USA potrebbero essere all’inizio di un solido ciclo di spesa in conto capitale, con il reshoring della produzione e il riallineamento delle filiere nel corso del prossimo decennio”. 

 

2. Le pressioni inflazionistiche in Europa persisteranno

Secondo il consensus Bloomberg, gli economisti europei prevedono che l’inflazione dei prezzi al consumo rallenterà rispetto al recente 10% su base annua, passando al 3% a fine 2023 e al 2% nel 2024. Lind dubita tuttavia che l’inflazione tornerà velocemente al target, e per tre motivi. “Innanzitutto, prevediamo una pressione al rialzo più persistente sui prezzi dell’energia, perché nei prossimi anni l’Europa cercherà una diversificazione rispetto al petrolio e al gas russi” e questo comporterà probabilmente un forte shock negativo a carico dell’offerta.  “In secondo luogo, riteniamo che i policymaker tollereranno un’inflazione più elevata mentre l’economia si adatta a un significativo declino nei redditi reali”. In terzo luogo, “riteniamo che lavoratori e aziende siano ora più disposti ad accettare incrementi di prezzi e salari, il che sosterrà le pressioni inflazionistiche”.

 

3. L’economia cinese non registrerà una ripresa solida

“Per la Cina prevediamo una crescita del PIL reale compresa tra il 3% e il 4% nel 2023, rispetto alla previsione del 4,4% del Fondo Monetario Internazionale” spiega Lind. “Ad ogni modo, riteniamo che il freno posto dalla politica zero-CCovid verrà allentato, il mercato immobiliare raggiungerà il picco minimo e l’economia cinese verrà moderatamente risollevata dalla spesa in infrastrutture.” 

La virata di Pechino “potrebbe stimolare quantomeno una moderata ripresa della spesa al consumo. La portata di questa ripresa dipenderà tuttavia dal calo della disoccupazione, che prevediamo lento.

 I redditi delle famiglie, la crescita dei salari e i prestiti sono stati deboli, mentre la fiducia dei consumatori è ancora scarsa e i dati sulla disoccupazione sono alti. Ovviamente le politiche zero-COVID pesano molto sulla fiducia dei consumatori, ma la crescita dei salari è un importante motore per i consumi”. 

 

4. Un imminente deprezzamento del dollaro è improbabile

Secondo Lind, il mercato obbligazionario rimane giustamente focalizzato su quello che ha trainato i movimenti del dollaro negli ultimi anni: i differenziali dei tassi di interesse.  “È possibile che i rendimenti reali a 10 anni dei Treasury USA abbiano già raggiunto il picco. In tal caso, potrebbe venire a mancare un importante elemento di supporto al dollaro nella misura in cui una modifica nei rendimenti, piuttosto che nel livello di rendimento assoluto, trainerà le oscillazioni valutarie”. 

Se e quando il dollaro inizierà a perdere parte del suo valore relativo, Lind sottolinea che l’effetto potrebbe essere particolarmente pronunciato rispetto alle valute dei mercati emergenti. “Molte banche centrali degli EM hanno iniziato anticipatamente ad alzare i tassi di interesse e sono state più aggressive rispetto alle principali controparti dei mercati sviluppati. Di conseguenza, i tassi di interesse reali dei mercati emergenti appaiono più interessanti rispetto ai mercati sviluppati. A nostro avviso, comunque, ci vorrà almeno un anno” conclude l’economista.

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