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COP26, nove ragioni per cui non deve fallire

11/8/2021

AXA Investment Managers passa in rassegna le motivazioni per cui è importante che la Conferenza non si chiuda con un nulla di fatto


Il sesto rapporto sul clima dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha lanciato l'allarme sulla velocità e sulla misura del riscaldamento globale, e sui suoi effetti.

Chris Iggo, cio core investments di AXA Investment Managers, elenca nove ragioni per cui è essenziale che la COP26 segni una svolta decisiva nella lotta al cambiamento climatico. 

 

È in corso un’escalation della crisi climatica

1. Nonostante i lockdown, la concentrazione di biossido di carbonio nel mondo nel 2020 ha superato del 149% i livelli preindustriali, come risulta da un rapporto dell'Organizzazione meteorologica mondiale delle Nazioni Unite. A quanto emerso, nel 2020 la concentrazione dei principali gas serra è cresciuta a ritmo più rapido della media dei dieci anni precedenti, tendenza proseguita anche nel 2021.

2. L’Earth Overshoot Day segna il giorno in cui la domanda annua di risorse naturali per consumo umano supera la capacità di rigenerazione del pianeta nei 12 mesi considerati. A parte il 2020, a fronte del rapido aggravarsi della crisi climatica, tale data cade sempre prima – quest'anno è stata giovedì 29 luglio.

 

Non stiamo facendo abbastanza

3. L’Agenzia Internazionale per l’Energia ha lanciato un appello ad accelerare il processo di transizione energetica, prevedendo che, nell'attuale scenario, il riscaldamento potrebbe raggiungere la soglia di +2,1°C entro il 2100. In base all'ultimo World Energy Outlook, gli impegni sin qui dichiarati sarebbero sufficienti a realizzare solo il 20% dei tagli alle emissioni necessari prima del 2030 per assicurare la possibilità di azzeramento delle emissioni nette entro il 2050”.

4. Un nuovo studio di Systems Change Lab - del World Resources Institute - ha evidenziato come, di circa 40 diversi settori, tra i quali l'energia, l’industria pesante, l’agricoltura, i trasporti, la finanza e la tecnologia, nessuno si sta muovendo a velocità sufficiente per evitare un innalzamento termico di 1,5°C oltre i livelli preindustriali.

 

L'impatto del cambiamento climatico sul PIL globale

5. Il Network for Greening the Financial System (NGFS), costituito da alcune banche centrali e autorità di supervisione, stima che il raggiungimento dell’obiettivo net zero potrebbe comportare una riduzione del PIL globale di circa il 2% tra il 2050 e il 2100. Il network prevede però anche che una "transizione ritardata", con un inizio posticipato, potrebbe avere conseguenze molto più severe - riducendo il PIL del 5% circa entro il 2050, per poi risalire intorno al 2,5% entro il 2100.

6. Se non porremo freno al cambiamento climatico, stando alle previsioni del NGFS le perdite potrebbero superare il 6% del PIL globale entro il 2050 mentre, secondo l’OCSE, entro il 2100 le perdite complessive ammonterebbero al 10%-12% del PIL. L’attuale worst-case scenario del Fondo monetario internazionale ipotizza una perdita di produttività intorno al 25%.

 

Il mondo deve spendere e investire di più

7. Solo il 2% dei 16.000 miliardi di dollari di spesa pubblica globale a sostegno dell’economia durante la pandemia è stato destinato alla transizione alle energie pulite. Secondo l’AIE, questa percentuale è “nettamente inferiore a quanto necessario per realizzare gli obiettivi climatici internazionali”. Per recuperare il ritardo e realizzare l’obiettivo net zero, a detta dell’AIE, nel prossimo decennio sarebbero necessari 4.000 miliardi di dollari di investimenti l’anno.

8. La Princeton University stima che gli Stati Uniti, per tenere fede all’obiettivo di azzeramento delle emissioni nette entro il 2050, dovrebbero investire 2.500 miliardi di dollari (pari all’11% del PIL) di qui al 2030. La Commissione europea prevede che saranno necessari ben 3.500 miliardi di dollari (pari al 25% del PIL) nei prossimi dieci anni, mentre la Tsinghua University ipotizza per il piano cinese un costo di 138.000 miliardi di renmimbi (circa 21.600 miliardi di dollari), che rappresenterebbe il 122% del PIL nei prossimi quarant’anni.

9. I ricercatori hanno suggerito che il costo effettivo della crisi climatica potrebbe essere molto più alto delle attese. Gli esperti dell’Università di Cambridge, dell’University College London e dell’Imperial College London l’hanno quantificato in 3.000 dollari per tonnellata di carbonio emessa. Gli attuali sistemi di determinazione del prezzo del carbonio negli Stati Uniti e in Europa lo fissano sotto i 100 dollari per tonnellata.

 

Considerando lo stato delle cose, la maggior parte delle società a livello mondiale non è ancora allineata con l’Accordo di Parigi.  “Esiste una strada possibile per garantire un futuro più prospero e sostenibile, ma per non perdere la rotta è necessario che governi e investitori agiscano con più coraggio” conclude Iggo.

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