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Remunerazione etica, continua il dibattito

11/28/2015 | Carlo Emilio Esini

Quanto alla presunta demagogia della mia preferenza per le commissioni di performance vorrei solo fare una domanda ai miei critici: avete mai fatto i conti?


Mi segnalano che i miei ultimi articoli sulla remunerazione hanno suscitato qualche polemica e non me ne sorprendo molto perché, in effetti, il settore è talmente gonfio di demagogia che gli spilli fanno più impressione delle cannonate.

 

Se lo si guarda da una prospettiva giuridica infatti non si comprende tutto questo parlare di consulenti (ex-promotori) professionisti e consulenti dato che, molto più prosaicamente, si tratta di agenti ovvero di soggetti contrattualmente obbligati a promuovere le vendite dei prodotti della casa mandante.

 

Quanto alla consulenza, è appena il caso di ricordare che è vietato al consulente (ex-promotore) svolgere il servizio di consulenza in materia di investimenti di cui all’art.1, lettera f) del TUF che è invece riservato dall’art.18, comma 1, alle imprese di investimento ed alle banche e, dall’art.18 bis, ai “Consulenti finanziari” mai nati.

Tutti sappiamo bene che la realtà fattuale è più complicata: il consulente (ex-promotore) ha occupato uno spazio molto più ampio al punto che è spesso l’unico vero consulente e confidente finanziario per il suo cliente; così anche l’iscrizione all’albo e la soggezione a regole di comportamento sembrano occhieggiare ad uno status professionale, ma sul piano delle norme concretamente applicabili è ben difficile negare l’evidenza.

Di non essere un professionista il consulente (ex-promotore) lo scopre comunque quando la mandante gli ricorda che i clienti non sono un suo asset, quando non può consigliare un prodotto che non passa le griglie MiFID o quando, semplicemente, partecipa ad una riunione commerciale con il manager.

La ragione è semplice: il professionista ed il consulente devono essere pienamente indipendenti per esercitare su incarico fiduciario del cliente quella discrezionalità tecnica che è il fondamento della loro utilità sociale; il consulente (ex-promotore) è invece, tecnicamente, un parasubordinato.

Questa banale affermazione nessuno vuole sentirla da vent’anni e non mi aspetto che qualcuno la condivida tra il popolo delle reti anche se, comunque, in Tribunale viene quotidianamente confermata.

Quanto alla presunta demagogia della mia preferenza per le commissioni di performance vorrei solo fare una domanda ai miei critici: avete mai fatto i conti?

 

Per decenni, e in gran parte ancora oggi, gli intermediari non hanno retrocesso che le briciole ai propri venditori quasi che fosse merito loro la scelta di questo o di quel prodotto; intanto il “consulente” che ha consigliato il meglio ha continuato ad essere remunerato esattamente come quello che ha venduto il peggio. Non so se è demagogia, ma certo non è questa la via per una remunerazione etica.

Sempre buono, per giustificare tutto, è il richiamo ai regolatori europei e nazionali che sono sempre più impegnati nei loro equilibrismi per tenere in piedi un sistema pieno di contraddizioni tra i principi e la prassi.

Anche in questo caso ricordo un dettaglio scomodo: prima di sposare ciecamente ogni orientamento delle autorità di vigilanza varrebbe forse la pena di chiedersi se sono poi così super partes rispetto all’industria finanziaria dato che, in buona parte, da questa vengono ed, esaurito il mandato, ad essa ritornano.

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