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Consulenti (ex-promotori), come difendersi dalla mandante

6/13/2012 | Carlo Emilio Esini

Il consulente (ex-promotore) si trova sempre più spesso nella difficile situazione di dover scegliere se precedere la fuga della sua clientela e cercarsi una nuova mandante.


 

Nella finanza la fiducia è un valore fondamentale. Nella relazione di investimento che si instaura tra il consulente finanziario (ex-promotore finanziario) e il cliente essa diviene il collante principale di rapporti che normalmente durano molti lustri; spesso sorretta da motivazioni personali, poco o per niente razionali, essa si alimenta dell’attenzione, professionalità e autorevolezza profuse in prima persona dal consulente (ex-promotore) al punto che, nella maggioranza dei casi, al cliente non importa nulla chi sia la mandante per la quale il suo “consulente” opera. 
 
 
Queste considerazioni valgono, ma solo sino ad un certo punto; da settembre 2008 anche il più inconsapevole dei risparmiatori ha imparato che le banche possono andare in default e che, in quel caso, rischia di non riuscire più a recuperare integralmente i risparmi affidati all’intermediario insolvente. Il risparmiatore ha, in tempi di crisi, il vero e proprio incubo di non poter ritirare i quattrini da conto corrente.
 
 
Il nostro consulente (ex-promotore) quindi, se ha la sfortuna di trovarsi a lavorare per una banca in difficoltà, avrà decine di telefonate di clienti che chiedono di liquidare e chiudere i conti per trasferire i propri investimenti presso altro intermediario. 
 
 
Nonostante le sue capacità il consulente (ex-promotore) si trova sempre più spesso nella difficile situazione di dover scegliere se precedere la fuga della sua clientela e cercarsi un nuovo preponente più affidabile (o quantomeno più credibile) o restare sulla tolda della barca che minaccia di affondare perdendo così il frutto di anni di lavoro. Se poi ci sono patti di stabilità (e la banca cui avete pensato prima ne fa firmare una tipologia tra le più vincolanti del settore) andarsene non è così facile e quindi il nostro consulente (ex-promotore) è costretto a perdere masse e reddito senza poter fare nulla.
 
 
Chi ha vissuto gli ultimi 15 anni del settore sa benissimo che non si tratta di fantasie: all’epoca della caduta di Fiorani o del commissariamento di Banca MB (per fare solo degli esempi non attuali) i clienti che hanno abbandonato le banche attraversate da scandali finanziari sono stati moltissimi e tutti in un ristretto lasso temporale. In queste situazioni i consulenti (ex-promotori) manifestano spesso il desiderio legittimo di far valere le loro ragioni e si pone il problema di quale diritto azionare atteso che un’azione di tipo contrattuale, sulla base del rapporto agenziale normalmente vigente non pare immediatamente possibile. 
 
 
Ultimamente, stante l’attualità della fattispecie, ho pensato spesso ad inquadrarla nel cosiddetto danno da “perdita di chance”. Esso consiste, come insegna una recente sentenza del Consiglio di Stato (30 maggio 2011, n. 3243), “in un danno patrimoniale relativo alla perdita non già di un vantaggio economico, bensì della mera possibilità di conseguirlo secondo una valutazione ex ante collegata al momento in cui il comportamento illegittimo ha inciso su tale possibilità”.
 
 

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