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Gestore della settimana: "La corsa delle imprese del Sol Levante non è finita"

7/23/2018

Alla fine del 2017 l’economia giapponese ha messo a segno due anni consecutivi di crescita


Alla fine del 2017 l’economia giapponese ha messo a segno due anni consecutivi di crescita, il periodo più lungo dagli anni 80'.  E a gennaio di quest’anno l’indice Nikkei raggiungeva livelli massimi mai registrati dal 1991. È finita la corsa per la Borsa di Tokyo? Secondo Archibald Ciganer (nella foto), gestore del fondo T. Rowe Price Japanese Equity di T. Rowe Price i fattori che stanno sostenendo il Giappone sono numerosi ed è convinto che non vi sarà un’inversione di tendenza.

Quali sono i driver dell’apparente rinascita del mercato azionario giapponese?
Il primo è l’Abenomics, ossia le riforme in materia di politiche di bilancio, monetarie e strutturali messe in atto dal primo ministro, Shinzo Abe. Il secondo è la prolungata ripresa degli Stati Uniti dopo la crisi finanziaria globale, dato che le esportazioni giapponesi dipendono fortemente dai consumi statunitensi. Le politiche monetarie espansive del Giappone hanno fatto sì che lo yen si sia indebolito notevolmente. Ciò ha favorito le esportazioni giapponesi verso gli Stati Uniti e reso le importazioni cinesi verso il Giappone più costose, importando inflazione dopo anni di deflazione. Questa situazione ha provocato un cambiamento nelle aspettative e nei comportamenti dei consumatori e delle società nipponiche.

Cosa è cambiato per il mercato giapponese in generale e per il settore corporate?
In passato, le società giapponesi erano qualitativamente inferiori rispetto a quelle degli altri paesi sviluppati. Ma oggi stanno recuperando terreno e cominciano a generare migliori risultati e a offrire un migliore trattamento agli azionisti. Il nuovo Codice di Corporate Governance introdotto dall’amministrazione Abe prescrive standard più elevati, un’informativa più completa e un migliore trattamento degli azionisti di minoranza. Un’altra nuova normativa, il Codice di Stewardship, esige che gli investitori, come fondi pensione e società di gestione patrimoniale, indichino le modalità di tutela degli investitori e si impegnino con le società al fine di allineare i loro rispettivi interessi. Grazie a queste riforme, il ROE delle azioni giapponesi, in passato inferiore a quello delle azioni europee, è aumentato. Lo scorso anno, il ROE delle società nipponiche ha superato quello delle società europee, attraendo investitori esteri, che detengono oggi oltre il 30% del mercato azionario giapponese, una quota superiore rispetto alle istituzioni finanziarie del paese.

Quale approccio adottare dunque per investire in Giappone?
Bisogna concentrarsi su società che traggono vantaggio dai cambiamenti sociali o tecnologici sul lungo termine. Si tratta di società interessate da una domanda crescente, per le quali, di conseguenza, la crescita si verifica più facilmente pur non investendo in maniera aggressiva. Da investitori, il nostro obiettivo è quello di posizionarci in modo da trarre vantaggio dai principali trend, quali l’invecchiamento della popolazione, l’incremento del potere di acquisto dei paesi emergenti e un contesto normativo più stringente. Miriamo ad essere esposti all’incremento della domanda e a disporre del vantaggio competitivo necessario per sfruttare i venti a favore. Ad esempio, deteniamo diverse società nipponiche operanti nel mercato della ricerca di personale. Con un’economia in crescita e una carenza di manodopera strutturale, il turnover dei lavoratori comincia ad essere più elevato. Le società di ricerca del personale, se ben gestite, possono crescere facilmente e rapidamente. Apprezziamo anche le società che sono in fase di ristrutturazione, di cambiamenti strategici, di miglioramento del mix di prodotto o della governance, qualsiasi fattore che possa condurre il mercato a cambiare opinione rispetto alle loro prospettive. Si tratta tendenzialmente di titoli value che registrano reali cambiamenti a fronte di fattori catalizzatori.

Quali sono i settori che offrono le opportunità più attraenti?
Prima di tutto, i servizi in generale. Una delle nostre partecipazioni, la società di ricerca di personale Recruit, offre anche diversi altri servizi alle aziende di piccole e medie dimensioni e produce media orientati ai consumatori. Ci interessano anche tutte le aziende che partecipano all’evoluzione dei consumi nipponici. Poi ci sono le società legate al settore dell’automazione, come Keyence e FANUC. La domanda di automazione rimane più forte nelle economie avanzate, ma sta crescendo a un ritmo molto rapido in Cina, dove il numero di robot potrebbe salire in maniera esponenziale.  

Quali invece i settori da evitare al momento?
Anzitutto, il settore bancario. Riteniamo che il Giappone abbia di gran lunga troppi istituti di credito, che vanno dalle banche agli istituti a partecipazione statale. L’offerta di credito nel paese è praticamente illimitata. Di conseguenza, i margini di interesse netti si riducono all’infinito, i differenziali di rendimento sono estremamente compressi e, di fatto, i tassi di interesse sono ancora negativi. Inoltre, la normativa bancaria è molto stringente. I fondamentali delle banche non miglioreranno fino a quando il settore non sarà consolidato. Anche i produttori operanti nei settori tradizionali, come le acciaierie, devono far fronte a condizioni sfavorevoli, come la concorrenza diretta proveniente dalla Cina e da altri produttori a basso costo. È davvero difficile per le società di questi settori mantenere il potere sui prezzi, e molte vengono trasferite in Cina.

Non si tratta semplicemente di un’altra “falsa partenza” per le azioni giapponesi?
Oggi siamo in presenza di nuove norme in materia di governance e stewardship, di maggiori investimenti esteri e di una concorrenza sempre più forte proveniente dalla Cina, e questi fattori impediscono all’economia giapponese di invertire la rotta. Certo, ci sono dei rischi. Non tutte le società stanno migliorando, e alcune resistono al cambiamento. Il mercato giapponese sta lentamente diventando più vario, meno ciclico, e meno dipendente dalle esportazioni. Ma rimane molto esposto al ciclo macroeconomico globale. Se dovesse verificarsi un rallentamento a livello mondiale, in particolare proveniente dagli Stati Uniti, gli utili giapponesi ne risentirebbero.

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