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Dollaro, quattro segnali di un possibile indebolimento

7/27/2020 | Lorenza Roma

T. Rowe Price elenca quattro motivi per cui il 2020 potrebbe segnare la fine per il rally del dollaro


Nel corso degli ultimi anni, caratterizzati da eventi sismici come Brexit e la pandemia di coronavirus, il dollaro ha rappresentato un solido pilastro dimostrando maggiore resilienza rispetto alle altre principali valute e fornendo stabilità agli investitori. Tuttavia, ci sono segnali che il dollaro possa aver raggiunto il picco nel primo trimestre e che abbia iniziato di recente a indebolirsi. "La corsa del dollaro è iniziata nel 2011 con la fine del QE della Fed, ma con la crisi del coronavirus sembra che il biglietto verde abbia raggiunto il picco e stia per invertire la tendenza. Tuttavia, dopo l’impennata di marzo, la valuta è crollata e quattro fattori chiave mostrano che potrebbe affrontare un periodo prolungato di deprezzamento", spiega Ken Orchard, gestore del fondo T. Rowe Price Funds SICAV – Diversified Income Bond di T. Rowe Price. Ecco quattro segnali che indicano che la corsa del dollaro potrebbe finire nel 2020.

 

1. L’inizio di un nuovo ciclo potrebbe portare a un’inversione di tendenza. I rally del dollaro in passato sono tendenzialmente durati diversi anni prima di invertirsi. Dopo essersi ricalibrato tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, il dollaro ha visto una nuova impennata verso la fine del millennio, grazie all’interesse generato dalle aziende tech Usa. Con la fine di questo trend la Fed tagliò i tassi portandoli all’1% e il dollaro rallentò. Alla luce di tutto ciò, vale la pena notare che prima della pandemia la forza del dollaro coincideva con livelli record toccati dagli indici azionari Usa, come il Nasdaq.

 

2. La ripresa negli USA sembra incerta. Anche un potenziale rimbalzo della crescita globale nella seconda metà dell’anno potrebbe indebolire il dollaro. Essendo la principale valuta mondiale, il suo andamento è influenzato dal sentiment globale. Le riaperture sono iniziate anche negli Usa, ma il percorso verso la normalizzazione della crescita suscita preoccupazione, con il numero di casi che resta elevato e un rischio reale di una seconda ondata. Anche il sentiment segnala una certa mancanza di ottimismo per una rapida ripresa. Ciò non significa che gli Usa siano destinati a essere in ritardo rispetto al resto del mondo, ma rende molto probabile che l’era dell’“eccezionalismo” statunitense degli ultimi anni sia vicino alla fine, minacciando il podio del dollaro.

 

3. Niente più differenziale tra i tassi di interesse. Nel 2019 la Fed ha iniziato a cambiare rotta, e nel 2020 con il Covid-19 i tassi Usa sono tornati su livelli molto simili agli altri Paesi sviluppati, come Eurozona e Giappone. La scomparsa del differenziale rispetto agli altri tassi di interesse rende il dollaro molto meno attraente.

 

4. Il dollaro pesa sempre meno nelle riserve globali. Anche cambiamento nella composizione delle riserve di valute estere delle banche centrali potrebbe indicare che il dollaro si trova su una strada in discesa. Secondo i dati del FMI, il biglietto verde rappresentava circa il 57% delle riserve delle banche centrali a fine 2019, tuttavia nel corso dell’anno, la quantità di dollari presente nelle riserve è diminuito. Anche il contesto politico mette in difficoltà la valuta. Viste le critiche da parte dei governi globali durante la crisi, il risultato delle elezioni presidenziali negli Usa è ancora più incerto. Il dollaro potrebbe indebolirsi, con l’aspettativa che le politiche protezionistiche di Donald Trump verranno meno.

 

"Nonostante questi fattori, non c’è garanzia del fatto che il dollaro rallenterà. La valuta mantiene alcune caratteristiche di bene rifugio, molto apprezzate in fasi di incertezza", precisa Orchard. "Dopo quasi 10 anni di rally per il dollaro, e con segnali di ritorno a una crescita globale dopo la crisi, gli investitori dovrebbero valutare se abbandonare gli asset denominati in dollari potrebbe essere una mossa conveniente all’avvio del secondo semestre", conclude il gestore.

 

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