Il salvataggio di Credit Suisse da parte di UBS è stato dettato dall'emergenza più che da una reale logica di M&A. 

Il gruppo guidato da Sergio Ermotti (in foto) non aveva alcuna intenzione di acquistare il suo principale rivale ma, anche fiutando la vendita a sconto, si è incaricata dell'operazione, non trovando certamente la contrarietà della politica elvetica.

Il sistema svizzero non poteva sopportare un fallimento di Credit Suisse senza acquirenti e sull'operazione non è mai stata più di tanto sottolineata la taglia egomonica oggi raggiunta nella conferedazione da UBS, ai limiti dello stop Antitrust.

Un campione nazionale così rilevante, circondato da realtà celebri ma molto più contenute (Julius Baer, Pictet e Safra Sarasin sono le principali), crea, oggi che l'emergenza è superata, qualche perplessità, tanto che il Governo di Berna chiede ora un rafforzamento di capitale dai 15 ai 25 miliardi di dollari.

Secondo la ministra delle Finanze, Karin Keller-Sutter, gli istituti sistemici come UBS dovrebbero garantire coperture più alte per le proprie controllate estere.

I manager di UBS hanno già segnalato la loro contrarietà all'iniziativa (che sarebbe comunque da attuarsi non prima del 2026): “Così si penalizzano gli azionisti ma anche i clienti, perchè i servizi bancari diventano più costosi” ha evidenziato il presidente Colm Kelleher. “Disponiamo di un buffet di capitale ben al di sopra del minimo regolamentare”.