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Fondi comuni: meglio venderli dopo cinque anni

12/15/2016

Secondo Mediobanca nell'ultimo quinquennio si è registrato un surplus di rendimento, anche se a 10 e 30 anni si verifica una distruzione di ricchezza


Dopo 9 anni in rosso dal 2003 al 2012, le sottoscrizioni dei fondi italiani hanno superato i riscatti per il terzo anno consecutivo, consolidando l’inversione di tendenza manifestata nei due anni precedenti. ​Nel 2015 la raccolta netta è stata positiva per circa 25 miliardi di euro. Nel 2016, in particolare, nei primi nove mesi vi è stata una prevalenza delle sottoscrizioni sui riscatti per 5,1 miliardi di euro nei fondi di diritto italiano. I dati emergono dalla consueta indagine annuale sui Fondi e Sicav italiani dell’ufficio studi di Mediobanca, giunta alla XXV edizione (1.003 fondi indagati alla fine del 2015 che gestivano un patrimonio aggregato pari a 292 miliardi di euro, di cui 184 miliardi relativi a fondi comuni aperti).

Passando alle performance dei prodotti, nel 2015 il rendimento netto medio del patrimonio è valutabile all’1,6% e ha beneficiato particolarmente del recupero dei fondi azionari (6,1%) e dei bilanciati (2,7%), come pure dei fondi pensione, sia negoziali (2,5%) che aperti (2,9%). I fondi obbligazionari si sono fermati all’1,1%, mentre la performance dei fondi di liquidità e dei flessibili non è andata oltre lo 0,3%. E i costi? Sono saliti all’1,3% del patrimonio (1,2% nel 2014) con la punta del 2,9% nel comparto azionario, oltre quattro volte rispetto ai fondi USA. Anche la rotazione del portafoglio - il cui completo rigiro avviene ogni 11 mesi - si è confermata elevata, specie se confrontata con la media dei fondi azionari americani (che supera i due anni). 



Se adottiamo un’ottica di lungo periodo, però, i rendimenti sono ancora insoddisfacenti: chi avesse investito in tutti i fondi comuni aperti italiani negli ultimi 32 anni avrebbe subìto, rispetto a un impiego annuale in BOT a 12 mesi, una perdita poco inferiore a una volta il patrimonio iniziale (aumentato nel periodo di sole 4,15 volte contro le 5 dei BOT). Sulla base del tasso risk free, il frutto dei fondi aperti mette in evidenza una distruzione di valore pari a circa 84 miliardi di euro nell’ultimo quindicennio. Un trend però che ha iniziato a invertire la rotta nel 2010: in una prospettiva di 5 anni (negli ultimi bisognerebbe considerare anche la politica della Bce che ha ridotto i rendimenti dei titoli di Stato) si può calcolare un surplus di rendimento rispetto a impieghi risk-free nell’ordine dei 4 miliardi di euro, anche se "in un contesto decennale si verifica invece una distruzione di ricchezza intorno ai 20 miliardi". 



Quanto al domicilio, l'indagine registra il boom dei fondi roundtrip (promossi all’estero da gestori italiani) che hanno segnato un volume di raccolta netta pari a 17 miliardi: alla fine del 2015 questa tipologia di fondi costituivano il 58% del patrimonio dei fondi aperti seguiti da gestori italiani (erano il 38% appena 7 anni prima) e per i nove decimi circa erano di diritto lussemburghese. Nel periodo in considerazione i gestori italiani, si legge nello studio, "hanno favorito lo spostamento all’estero di una quota significativa dei patrimoni in gestione", principalmente nel Granducato dove la trasparenza è inferiore a quella in Italia; "quella dei fondi irlandesi è assai più mediocre" concludono gli esperti.

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