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PIR: la ripresa è ancora lontana

2/26/2024 | Marcella Persola

Andrea Randone di Intermonte analizza i dati del mercato evidenziando come è più lecito attendersi una stabilizzazione dei flussi


Una potenziale ripresa dei PIR nel corso del 2024 è una possibilità molto bassa. Così ritiene Andrea Randone (nella foto), head of mid small cap Research di Intermonte nel suo report mensile. 

Analizzando i dati l'esperto mostra come, facendo riferimento ai dati aggiornati sulla raccolta PIR del terzo trimestre ‘23 pubblicati da Assogestioni, “nel corso del trimestre, i PIR ordinari hanno registrato deflussi per 731 milioni, mentre i PIR alternativi hanno registrato afflussi per 7,5 milioni. In termini di AuM, i PIR ordinari hanno gestito 16,3 miliardi, mentre 1,5 miliardi sono stati investiti in fondi PIR alternativi”.

Se consideriamo invece i dati dell'Osservatorio PIR del Sole 24 Ore, i dati sui deflussi in ottobre, novembre e dicembre sono rimasti poco incoraggianti, rispettivamente pari a -172,1 milioni di euro, -153,8 milioni di euro e -112 milioni di euro. “L’ammontare totale dei riscatti per il 2023 (combinando i dati ufficiali di Assogestioni per i primi nove mesi dell’anno e le indicazioni del Sole 24 Ore per gli ultimi quattro) tocca i 2,59 miliardi di euro” evidenzia Randone.

Motivo per cui è più facile attendersi una stabilizzazione dei flussi piuttosto che una ripresa, nonostante i cambiamenti normativi attuati per dare ulteriore slancio allo strumento.  

Come ricorda infatti l'esperto di Intermonte i PIR 3.0 prevedono che: almeno il 70% del fondo deve essere investito in titoli emessi da società quotate italiane o comunitarie con stabile organizzazione in Italia; di questo 70%, il 25% (cioè il 17,5% del totale del fondo) deve essere investito in titoli non presenti nell'indice principale (FTSE MIB nel caso di titoli quotati in Italia). La principale novità del nuovo regolamento è un investimento minimo obbligatorio del 5% del 70% (o del 3,5% del fondo totale) in small cap non quotate né nel FTSE MIB né nel FTSE MID. Questa misura dovrebbe convogliare i flussi verso un universo di piccole imprese che si prevede possano trarre particolare beneficio dal rinnovato interesse degli investitori. 

“La nuova normativa consente inoltre ai fondi pensione italiani di investire fino al 10% del loro patrimonio in fondi PIR. Il beneficio fiscale (invariato) riguarda ancora l'eliminazione dell'imposta sulle plusvalenze a condizione che l'investimento sia stato mantenuto nel fondo per almeno 5 anni” precisa Randone.

“Il PIR alternativo è un wrapper con benefici fiscali simili a quelli del PIR (esenzione fiscale delle plusvalenze per gli investimenti detenuti per almeno 5 anni) e a sua volta è in grado di investire in ELTIF, fondi di private equity o fondi di private debt. A causa degli investimenti in attività illiquide (più vicine all'economia reale ma più rischiose), gli investitori affluent sono i clienti target. L'importo massimo investibile all'anno è di 300.000 euro per persona (contro i 40.000 euro dei PIR) fino a un massimo cumulativo di 1,5 milioni di euro per persona. Inoltre, il limite di concentrazione (cioè il massimo investimento cumulativo in un singolo titolo) è stato fissato al 20% (il 10% è il limite per i normali fondi PIR)” continua Randone che conclude osservando come “questi strumenti alternativi sarebbero infatti adatti a superare la volatilità del mercato, dato il loro impegno a lungo termine, e sono complementari ai fondi PIR in senso più ampio (sono pensati per investitori semi-professionali piuttosto che retail)”. 

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