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M&G: azionario, per non rischiare

12/9/2014

L'azionario è diventata l'asset class più appetibile e meno rischiosa. Ne è convinto Steven Andrew, gestore del fondo M&G Income Allocation nella sua analisi


L'azionario è diventata l'asset class più appetibile e meno rischiosa. Ne è convinto Steven Andrew, gestore del fondo M&G Income Allocation nella sua analisi. 

 

La tesi ora maggiormente usata per giustificare i recenti movimenti è il deterioramento recente delle prospettive di crescita globale. Al contempo, sono riemersi timori apparentemente associati di deflazione, – in particolare nell’Eurozona ma alimentati, in maniera più o meno casuale, da una serie di dati di inflazione in altre regioni, inferiori alle previsioni di mercato. Se non bastasse, al quadretto poco allegro possono contribuire anche le deboli cifre del commercio tedesco (per via delle sanzioni russe, del rallentamento della Cina, delle atipiche condizioni meteorologiche o magari per una combinazione di tutti questi fattori), prezzi più deboli delle materie prime, un dollaro più forte e, per finire, la potenziale propagazione del virus dell’Ebola e il suo possibile impatto su viaggi, turismo e attività economiche in generale. Se il mercato vuole trovare ragioni di sconforto eccessivo, non ne sarà mai a corto. Ovviamente questo vale anche quando l’emozione auspicata è l’ottimismo.

 

Un pizzico di verità aiuta sempre a costruire una storia. Sicuramente l’inflazione è a livelli bassi e sta scendendo in diversi Paesi. Inoltre, le prospettive di crescita, specialmente per alcuni Paesi europei, continuano ad essere limitate da rigidità strutturali, tra cui un contesto normativo che si sta muovendo in direzione opposta. In termini macroeconomici, la bilancia delle probabilità pende ancora in favore di ulteriori espansioni e di miglioramento in buona parte delle regioni del mondo.

 

L’economia statunitense è un esempio calzante. I dati relativi agli occupati nei settori non agricoli indicano una tendenza di ininterrotto recupero da quattro anni: si tratta di un lungo periodo, almeno due mesi in più rispetto all’ultima ripresa ciclica del mercato del lavoro statunitense (tra settembre 2003 e giugno 2007). Il tempo, tuttavia, è l’unica variabile tramite la quale giudicare la maturità dell’attuale espansione. Il tasso di disoccupazione, al 6%, resta superiore alla sua media di lungo termine e decisamente più elevato rispetto a quanto auspicato dai funzionari della Federal Reserve. In effetti, l’obiettivo della Fed è “massimizzare l’occupazione” .

 

Altre variabili del mercato del lavoro sono ancora più indicative di un’espansione allo stadio iniziale. Dopo un inizio poco convincente, il reddito delle famiglie sembra finalmente reagire al miglioramento della situazione occupazionale e un altro punto importante da sottolineare in questo contesto è l’impatto favorevole sui redditi reali che ci si può aspettare dai recenti declini del prezzo del petrolio e da ulteriori cadute dei tassi dei mutui ipotecari.

 

Da un punto di vista degli investimenti, le valutazioni azionarie sono divenute molto più appetibili mentre molti dei fattori a sostegno di queste valutazioni sono rimasti nel complesso invariati. In questo ambito i recenti movimenti di mercato rendono le azioni, e alcune aree del mercato obbligazionario corporate, più interessanti e, soprattutto, meno rischiose dei titoli di Stato dei Paesi sviluppati, che appaiono nuovamente piuttosto onerosi.

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