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Banche estere, tra rilancio e disimpegno

5/23/2016 | PierEmilio Gadda

Il mercato è in continua evoluzione. Si va dall'operazione di Ubs su Santander ai piani di Credit Suisse e Deutsche Bank (*)


C'è grande fermento tra le private bank estere che operano in Italia. Tra chi è deciso a restare, investe, vuole crescere. E chi ha scelto la strada del disimpegno, perché la Penisola non è (più) un mercato strategico. Non ci sono terre di mezzo in un mercato che diventa sempre più competitivo, dove senza risorse da mettere in campo si è destinati a perdere rilevanza. E quote di mercato.

 

Ci sono player che mandano segnali inequivocabili: si pensi all’operazione di Ubs su Santander Private Banking Italia, che sarà perfezionata a breve. Il passaggio di mano riguarda asset pari a 2,7 miliardi di euro, più l’intero team di banker, il personale di supporto e le sei filiali attraverso cui operava il ramo italiano della divisione private spagnola: Milano, Varese, Brescia, Roma, Napoli e Salerno.

 

Altri si muovono facendo poco rumore, a piccoli passi. Qui, però. bisogna distinguere i numeri dalle voci di mercato. Come quella circolata a metà gennaio (e prontamente smentita) su un possibile ridimensionamento del business italiano da parte di Credi Suisse. “Il piano strategico del Gruppo contempla l’Italia quale uno dei mercati chiave per la crescita del private banking, in Europa - ribadisce, interpellato da Advisor Private , Stefano Vecchi, 36enne responsabile Private Banking Italia di Credit Suisse - (nella foto). Oggi gestiamo masse pari a oltre 22 miliardi di euro e abbiamo compensato la cessione delle attività non core (il private banking affluent e upper affluent venduto a Banca Generali nel 2014 ndr ) con un sensibile incremento della marginalità, attraverso la rifocalizzazione sulle attività High Net e Ultra High Net”. Il gruppo svizzero ha archiviato il 2015 con un rosso pari a 2,94 miliardi di franchi svizzeri, legato anche alla scelta d’imputare a bilancio le maxi svalutazioni volontarie e i costi legati ai contenziosi. Urge premere l’acceleratore sul piano di ristrutturazione voluto dal ceo Tidjane Thiam, in carica dallo scorso giugno, che comporterà 4.000 esuberi. Ma i tagli, dicono i ben informati, colpiranno soprattutto Regno Unito e Svizzera. L’Italia dovrebbe uscirne indenne. “Il nostro obiettivo è continuare a crescere, reclutando almento 15 banker nel 2016 e altrettanti l’anno prossimo”, dichiara Vecchi. Oggi, la squadra coordinata dal responsabile private banking è strutturata in tre team: uno dedicato agli high net worth individuals, un secondo focalizzato sull’attività di corporate advisory e un terzo per i servizi di family office, che assiste la clientela nella ricerca di opportunità d’investimento tramite la piattaforma di investment banking. “Continuiamo a puntare sulla consulenza a pagamento, che vale già oltre la metà della clientela, in termini di masse”, conclude il manager della banca svizzera, che liquida con un secco “no comment” le indiscrezioni sul coinvolgimento di Credit Suisse nella recente partita su Bsi, finita con l’acquisizione da parte di Efg International (leggi qui).

 

Altre voci, nuove smentite: quella di un’allenaza tra il colosso inglese Schroders, quotato a Londra e la Banca Leonardo di Gerardo Braggiotti le cui trattative sembrano essersi arenate improvvisamente a inizio febbraio, sotto i pesanti crolli di Borsa. Certa è, invece, la notizia dell’acquisto di 86 filiali italiane del gruppo inglese Barclays da parte di CheBanca!, operazione autorizzata dall’Antitrust l’8 febbraio scorso e destinata a chiudersi entro il 30 giugno. Tra le attività cedute non ci sarebbe solo il business retail, ma anche il private banking. In base a quanto AdvisorPrivate è in grado di ricostruire, infatti, in Italia Barclays avrebbe deciso di focalizzarsi esclusivamente sulla divisione investment banking, dove sono appena approdati Carlo Calabria e altri otto banker (si veda pag.14). Intanto un altro gruppo estero è tornato a far parlare di sè.

 

Il 27 gennaio, Crédit Agricole Private Banking ha annunciato la riorganizzazione delle proprie attività su scala globale - in Europa, Medio Oriente, Asia-Pacifico e Americhe - sotto un unico brand, Indosuez Wealth Managment, presente in 14 Paesi con 30 filiali e un patrimonio totale di 110 miliardi di euro. Un nome, Indosuez, che na sce da una storia prestigiosa, le cui origini risalgono addirittura alla creazione della Banque de l’Indochine, nel 1875. “Dopo la Francia, quello italiano è il secondo mercato più importante per il Gruppo Crédit Agricole. Il ritorno in Italia è stato quindi naturale per rafforzare nel Paese la nostra offerta nel settore del Wealth Management”, ha dichiarato a AdvisorPrivate Olivier Chatain, amministratore delegato e direttore generale di Ca Indosuez Wealth Europe, in occasione del lancio (leggi).

 

Infine c’è Deutsche Bank, da mesi nell’occhio del ciclone che si è abbattuto sui mercati finanziari, vittima di una grave crisi di fiducia da cui sta cercando faticosamente di risollevarsi. Lo scorso 29 ottobre, il nuovo co-ceo, John Cryan, ha annunciato un ambizioso piano di ristrutturazione, Strategy2020, con l’obiettivo di rendere la banca più solida ed efficiente. Nell’ambito del programma di rilancio, il management ha deciso la scissione delle attività di asset e wealth management, imponendo un drastico cambio di rotta alla strategia voluta da Michele Faissola, ex capo di Deutsche Asset & wealth management, in uscita dalla banca. Per effetto di questa operazione, i servizi dedicati ai clienti con grandi patrimoni sono stati riorganizzati nella divisione Private, Wealth & Commercial Clients (PW&CC): all’interno della nuova struttura, il segmento retail (Private&Business Clients) e il wealth management opereranno come anime indipendenti ma in stretta cooperazione.

 

Ed è proprio sulla sinergia tra le due aree che il gruppo intende fare leva per sviluppare il business nei prossimi anni. “Il nostro obiettivo è posizionare Deutsche Bank tra i primi cinque operatori a livello mondiale, nel wealth management”, ha dichiarato a inizio febbraio Fabrizio Campelli, responsabile globale di Wealth Management al quotidiano tedesco Handelsblatt. “L’Italia rimane un paese chiave per Deutsche Bank”, ribadisce un portavoce della società in una nota. Vale la pena ricordare che la Penisola, dove il gruppo tedesco è presenta dal 1977, rappresenta il secondo mercato europeo, dopo la Germania. In Italia, il wealth management è guidata da Roberto Parazzini, 42 anni, membro del Consiglio di Gestione di Deutsche Bank Spa, fresco di nomina a responsabile della divisione WM per il sud Europa; la divisone gestisce 27 miliardi di euro e può contare su 28 client advisor dislocati in sette sedi: Milano, Lecco, Torino, Verona, Firenze, Roma e Napoli. Nel 2015, il wealth managment ha dichiarato un incremento di ricavi e volume d’affari nell’ordine del 20% .

 

(*) Servizio pubblicato su AdvisorPrivate N2 di marzo-giugno 2016

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